Juve, “C’era una volta…”

“C’era una volta…”, è così che iniziano le favole; a differenza degli incubi, il cui incipit recita sovente “A volte ritornano…

C’era appunto una volta, un allampanato guardiano dei pali anagraficamente conosciuto come Edwin Van der Sar; sostanzialmente una sciagura, che la lunga epopea di Gianluigi Buffon ha relegato in angusti e reconditi recessi della memoria, giacché, come noto, anche le novelle più tristi debbono giovarsi di un lieto fine, se sono davvero fiabe…

Altrimenti sono degli horror, che non è scritto da alcuna parte debbano finire per forza male, ma durante la maggior parte del loro dipanarsi, le sensazioni di paura, raccapriccio, talvolta disgusto, generano un’atmosfera affatto piacevole, soprattutto quando non si è più avvezzi a conviverci.

Ebbene, l’olandese poco volante pare sia tornato. Ora si fa chiamare Van der Buff, ma sembra proprio lui; ovviamente più attempato, con i tratti modellati dall’implacabile incedere degli anni e il fascino di un parente lontano di cui si è vagheggiata una vita parecchio scapigliata, ma di sicuro molto remunerativa: praticamente quelli di uno zio Paperone.

Fuor di metafora, il quinto grave errore commesso nelle ultime dieci partite dal Gigione nazionale, per quanto agevolato dal comportamento tutt’altro che impeccabile dei compagni preposti alla sua protezione, solleva dubbi, inquietudini e riflessioni che conducono a una sola domanda: il suo credito è infinito o, a dispetto della luminosa carriera, del carisma e sudditanza che esercita nello spogliatoio, gli si può proporre un momento di riflessione, che trasposto alla stretta attualità significherebbe un soggiorno a tempo da definire sulla panca di Madama?

A tutela della sua immagine e del bene collettivo, sarebbe assai conveniente lasciar dissipare i cumulonembi da lui stesso creati e concedergli un periodo di rifiato. Però, dovrà essere la Società a pretenderlo, perché è ragionevole supporre che difficilmente sarà l’interessato a richiederlo ed è inimmaginabile che il navarco di bordo campo abbia il minimo sindacale di fegato atto ad imporglielo.

Quanto al confronto con le zebrette friulane, al cui buon esito finale hanno concorso davvero in pochissimi, è stato non imprevedibilmente brutto, all’insegna del precariato e, in ossequio a una formazione iniziale poco credibile, per quanto quasi obbligata, contrassegnato da una sofferenza indicibile, a momenti addirittura inusitata e, in ordine agli ultimi venti minuti, financo paradossale. Pareva di essere all’Allianz Arena e che l’avversario fosse un altro…

Invece si trattava della modesta Udinese di Gigi Del Neri, l’uomo che si esprime con fonemi incomprensibili e balbettando inesistenti codici fiscali, ma tuttavia capace, pur confermandosi un perdente, di rimediare un inatteso figurone proprio sotto lo sguardo di chi lo scelse per ricostruire una Juve allora in grosse ambasce.

Fortunatamente il “Sivorino” Dybala non ha letto i giornali, così, ignorando di essere debilitato dai ripetuti cambi di fuso orario ha liberato senza patemi il suo zurdo fatato e, anche in virtù di un arbitraggio parecchio “riguardoso”, ha di fatto regalato tre punti a una Signora rigorosamente in linea con i dettami esasperatamente timorosi di mister “halma piatta”.sivorino

Grazie allo stellone , lui sì più brillante che mai, ancora una volta e pericolosamente, lo scalpo del nemico è stato appeso ai bastioni dello Stadium, ma alle solite, ormai incancrenite giustificazioni normalmente spese per motivare l’ennesima prestazione scadente (onda lunga della preparazione e mancanza di amalgama; a metà ottobre…), la circostanza aggiungeva pure i riflessi obliqui prodotti dall’esodo di massa dei chiamati alla difesa dell’onor patrio.

Mario Mandžukić , a differenza della Joya, è probabilmente incline alla lettura, tant’è che, preso per buono il pretesto, lo ha ottemperato con perfida efficacia. Duole ammetterlo, ma quest’uomo, almeno quand’è di bianconero vestito, non segnerebbe nemmeno se potesse usare le mani, a maggior ragione se il centrocampo che dovrebbe innescare le sue presunte velleità goleadoristiche è uno dei peggiori che sia dato ricordare da un secolo ai giorni nostri.

Aver rastrellato la posta in palio nonostante tutto, oltre a ribadire la modestia complessiva del torneuccio peninsulare, incentiva la possibile sopravvalutazione di un complesso disorganizzato che salva la ghirba solo in forza degli estemporanei lampi di genio delle individualità più talentuose. Va specificato a chiare lettere: vedere una squadra come la Juve costretta in toto dietro la linea della palla, fra le proprie mura, da una formazione di bassa classifica che le impone di speculare sugli ultimi granelli della clessidra è, in tutta sincerità, deprimente, avvilente, vergognoso!

Vincere sarà pure l’unica cosa che conta, ma la decenza imporrebbe, a questo punto, di aggiungere al famoso mantra una dossologia: “Non importa come”…

L’incalzare degli eventi obnubilerà in fretta il retrogusto amaro lasciato in eredità da una gara che dovrebbe, invece, servire da monito. Notre-Dame des Étoiles è attesa in uno dei vertici del triangolo magico per giocare un altro sport: il calcio europeo; un gioco molto diverso dalla parodia praticata nello stivale e che ripudia senza pietà chi pretende di esercitarvisi in preda alla sindrome da “braccino corto”.

Questione di ore e constateremo se per l’occasione le maniche della “Vecchia” saranno più lunghe; cercando di capire, perché vorremmo proprio saperlo, se la pellicola in corso d’opera è ancora una fiaba, oppure un horror dal finale aperto che, in quanto tale, contemplerebbe pure la mitologica evenienza paventata dagli apostoli del risultato: quella per cui, un giorno, la Juve giocherà bene.

Augh!

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