ESCLUSIVA SJ – Bellinazzo: “Ecco come l’Italia e la Juve possono raggiungere le big europee”

L’Europa corre, l’Italia all’arranca. È una storia che sentiamo da anni e che, ormai, vale anche per il calcio. Lontani sono i fasti di un tempo, quando le nostre squadre dominavano il Vecchio continente. Ma c’è ancora speranza: la Dacia Arena, per esempio, è la dimostrazione che la provincia italiana può rialzarsi e aiutare il movimento a riprendere forza. Di questo e altri temi, SpazioJ ha parlato con Marco Bellinazzo, giornalista del ‘Sole 24 ore’ ed esperto dei conti del pallone.

Udinese-Juve ha segnato il debutto ufficiale della Dacia Arena, lo stadio di proprietà dei friulani. Se lo Stadium è il modello per i grandi club, l’impianto di proprietà della famiglia Pozzo sembra possa diventarlo per le medio-piccole. Ma la rinascita del calcio italiano, dal punto di vista economico, passa solo per nuovi stadi?

“Chiaramente, no. Ma è indispensabile passare da lì: servono nuovi stadi per ammodernare il sistema e, accanto a questi, è necessario generare altre iniziative, come il rilancio dei centri sportivi, lo sviluppo della rete commerciale e l’internazionalizzazione dei brand. Chiaro che tutte queste misure, messe insieme, possono garantire una rincorsa alle big del calcio europeo. Il modello Udinese può essere un prototipo per i club di piccola e media dimensione, perché si può ottenere facilmente una concessione lunga dal comune, nel caso dei friulani parliamo di 99 anni, quindi non sopportare la spesa per l’acquisto dell’impianto e rimodernarlo con un investimento di venti o trenta milioni, costruendo uno stadio su misura per le esigenze della provincia italiana”.

E per quanto riguarda i possibili problemi burocratici?

“Nel momento in cui una società ha progetti seri, non credo ci siano particolari ostacoli. Si può procedere anche alla vendita dell’impianto. In questa direzione sta andando il comune di Bergamo e non credo che l’Atalanta avrà grandi problemi per acquistare l’Atleti Azzurri d’Italia”.

Si vocifera che la Juventus abbia in progetto la costruzione di una catena internazionale di hotel e ristoranti, da caratterizzare col proprio brand. Attualmente, il Real Madrid è leader nei profitti derivanti dalle attività commerciali, con un tetto di seicento milioni di euro, ma un progetto di tale portata potrebbe permettere ai bianconeri di raggiungere o, addirittura, superare questi livelli?

“Credo sia un progetto molto ambizioso. La Juve, grazie alla Champions, è arrivata a superare i trecento milioni di fatturato nel 2015. È chiaro che il gap che si sta aprendo con le big europee è molto elevato: i bianconeri sono decimi per fatturato a livello continentale, ma quelle che stanno davanti procedono spedite. Detto ciò, è un progetto importante, anche se a lunga scadenza, che potrebbe giovare al bilancio della Juventus. Non credo che da solo possa permettere di colmare il gap, occorrerà fare di più. E, dal punto di vista del Fair Play Finanziario, bisognerà capire se questo tipo di ricavi possono essere inquadrati nella norma, poiché si tratta di ricavi non strettamente legati all’area sportiva. Va capito come possono essere classificati in ottica Uefa.

I risultati raggiunti dal management bianconero, dal punto di vista economico e sportivo, sono sotto gli occhi di tutti. La Juventus è tornata a essere leader in Italia, specialmente dal punto di vista progettuale, ma punta con decisione a diventarlo anche a livello europeo. Come valuti, dal tuo punto di vista, l’operato della società torinese?

“La nuova dirigenza ha operato bene. Quest’anno s’è completato il risanamento dei conti, portando per la prima volta il bilancio in utile, seppure d’un paio di milioni. Il tutto nel quadro di ricostruzione e rafforzamento dell’organico e, infatti, i risultati sportivi si sono visti, con i quattro campionati vinti e la finale di Champions. E si sono visti anche nelle iniziative imprenditoriali: sembra banale dire lo Stadium, ma per l’Italia non lo è; senza dimenticare tutte ciò che stanno facendo per rafforzare la struttura commerciale, come l’aver preso in gestione il merchandising, un passaggio importante per accrescere le competenze interne al club e farlo diventare sempre più un’azienda”.

Il compito della nuova dirigenza non è stato sicuramente facile. Ha dovuto letteralmente costruire, dopo Calciopoli e una gestione non molto felice. Quanto ha inciso tutto ciò sulle sorti della Juventus?

“È difficile calcolarlo. In termini molto semplificati, non aver avuto accesso ai ricavi della Champions, per la Juve, significa aver perso mediamente trenta milioni all’anno, ma ci sono da tener in conto gli introiti da botteghino, i contratti con gli sponsor e la necessità di ricostruire la rosa, dopo essere andati in B, che ha comportato costi importanti. Cinque anni fa, c’è stato un aumento di capitale da 120 milioni, su cui s’è basato tutto il progetto di sviluppo attuale. Può essere considerato il costo che la Juve ha dovuto sopportare per ripartire dopo Calciopoli.

Se Marco Bellinazzo fosse il presidente della Figc, quale sarebbe il primo cambiamento che opererebbe?

“Il problema non è la Federazione, perché può fino a un certo punto e credo che stia operando bene: ha reintrodotto dei criteri patrimonali per l’iscrizione al campionato, ha posto il tetto alle rose, sta cercando di implementare una struttura nazionale di centri federali per rafforzare il calcio giovanile. Tutte iniziative che vanno apprezzate. Quello che si può auspicare è una riforma della Lega Calcio, che dovrebbe curare gli interessi dei venti club della massima serie, sulla falsa riga di Premier e Bundesliga. Infront, per esempio, è un’anomalia: all’estero non esiste una situazione simile, ma quest’azienda supplisce a una mancanza della Lega. Serve una struttura che possa sviluppare progetti autonomi, decidere come svolgere al meglio le proprie mansioni e che non sia, invece, un condominio dove il veto incrociato dei club e le inamicizie bloccano ogni progetto di sviluppo, condannando il calcio italiano all’immobilismo”.

Felice Lanzaro (@FeliceLanzaro)

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