Trieste, dove tutto è iniziato

La Juventus torna stasera a Trieste dopo sette lunghi anni di assenza. L’ultima volta era stato il 6 maggio 2012 contro il Cagliari, e tra le fila bianconere giocavano ancora Krasic, Estigarribia ed Elia.

Quella volta il presidente cagliaritano, Massimo Cellino, non volle farsi scappare l’idea di realizzare un ricco incasso data l’indisponibilità del Sant’Elia, e decise di giocare la penultima di campionato nello stadio con più alta capienza disponibile all’affitto. Inutile sottolineare che la partita si trasformò in una gara casalinga per i bianconeri, che arrivavano a giocarsi lo scudetto dopo gli anni della rinascita post Calciopoli.

Il Milan era ad un punto di ritardo dalla Juventus e giocava il derby di Milano. Non si erano sopite le polemiche di Allegri per il gol-non-gol di Muntari, perché ancora non c’era la Goal Line Technology, e la tecnologia VAR probabilmente non era neanche nella mente del suo inventore (ma sicuramente era ben presente in quella di Aldo Biscardi).

Quella sera Vucinic sbloccò subito l’incontro e le attenzioni dei tifosi bianconeri si concentrarono su San Siro, dove qualche minuto dopo Milito portò in vantaggio l’Inter. A fine primo tempo la doccia fredda del pareggio milanista con il grande ex Zlatan Ibrahimovic non fece preoccupare troppo lo stadio di Trieste, in quanto in caso di pareggio la Juventus sarebbe divenuta comunque campione d’Italia.

Tuttavia a pochi secondi dall’inizio del secondo tempo lo svedese raddoppiò, e sullo stadio scese un silenzio irreale. Ormai non restava che aspettare e sperare, ma ci vollero solo sei minuti prima del pareggio su rigore di Milito. In quel momento iniziò la lunga attesa, perché un colpo di scena inatteso avrebbe potuto rimandare la festa di una settimana. A dieci minuti dal termine, mentre a Trieste la Juventus conduceva per 2 a 0 grazie ad un’autorete di Canini, Milito riportò avanti i suoi con un rigore che fece letteralmente esplodere lo stadio e iniziare a cantare quel coro a cui ora i tifosi bianconeri si sono fin troppo abituati, tanto da non apprezzarlo più come un tempo.

Il gol di Maicon ad una manciata di minuti dal termine diede il via al conto alla rovescia verso l’ultima invasione di campo della storia calcistica italiana: la Juventus è campione d’Italia per la trentesima volta. La Vecchia Signora vinceva la sfida lanciata dall’Avvocato alle milanesi, “arriveremo prima noi alla terza stella che loro alla seconda”. E Del Piero si congedava dal pubblico che lo aveva amato come un messia con una delle vittorie più belle della sua carriera.

In panchina c’era Antonio Conte, dietro alla scrivania Beppe Marotta, che probabilmente si augurano un finale simile per il campionato di quest’anno. Ma non per la Juventus, che ha visto l’allenatore sbattere la porta al primo giorno di ritiro e una separazione non consensuale con il dirigente più ammirato d’Italia. I due si sono ritrovati ora, e non c’è dubbio che proveranno a fare ciò che gli è riuscito meglio, vincere. Ma quel 6 maggio a Trieste, dove tutto è iniziato, per la Juventus giocavano ancora Krasic, Estigarribia ed Elia: non dimentichiamolo.

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