J-Cult, capitolo 1: “Da Dachau al Tricolore”, la storia di Cestmir Vycpalek

L’inimitabile e ultrasecolare storia della Juventus si è arricchita, anno dopo anno, di storie particolari e personaggi inconfondibili, che hanno a loro modo contribuito a non stracciare mai dalla pelle bianconera l’etichetta di “squadra vincente”. Tra essi anche Cestmir Vycpalek, allenatore cecoslovacco che, con Zoff, Causio e Anastasi, ha portato Madama a vincere due scudetti consecutivi (1971-1972 e 1972-1973), conquistati entrambi con un distacco di appena 1 punto rispetto al Milan.

Stefano Bedeschi, da sempre tifoso juventino, ha collaborato con importanti forum a tinte bianconere (J1897, VecchiaSignora.com, tuttojuve.com) e in questo libro – Da Dachau al tricolore: Cestmir Vycpalek(editore: Urbone Publishing) – ripercorre le gesta, calcistiche e non, di uno degli allenatori più esemplificativi dello spirito bianconero. Il tecnico di Praga, maniacalmente attento ai particolari (amava rivedere le partite alla TV, in un periodo in cui non era mainstream) e sempre comprensivo e cordiale con tutti, è entrato nel cuore dei tifosi per aver costruito una squadra spettacolare quando serviva e molto concreta quando l’importante era solo il risultato, grazie ad una difesa – come da tradizione – a tratti imperforabile. Vincere, insomma, è sempre stata l’unica cosa a contare davvero

CESTMIR VYCPALEK: NOMEN QUASI OMEN

Scindendo il nome di battesimo di Vycpalek, si incorre in due parole identificative del destino di Cestmir: onore e pace. Onore, quello venuto forzatamente meno durante i mesi di prigionia nel lager nazista di Dachau; pace, quella conquistata – nello stupore generale – al termine di quell’assurda e disumana follia. E “Cesto” ha parlato così della sua tremenda esperienza nel campo di concentramento:

Nell’ottobre del 1944 ero uno scheletro vivente con una casacca a righe, che stringeva il filo spinato di un orrendo campo di concentramento nazista, quello di Dachau. Solo chi c’è entrato può sapere quanto sia stato difficile, quasi miracoloso uscirne. In quel campo, Hitler rinchiudeva i nemici della sua follia: ebrei, antinazisti, cittadini degli Stati invasi dalla croce uncinata. Ed io sono cecoslovacco di Praga, dunque un nemico. Vi passai otto mesi di sofferenze inaudite, di privazioni enormi; una buccia di patata, ogni due giorni, mi pareva un tesoro inestimabile. Solo chi è passato attraverso queste esperienze può capire che valore ha la vita e non impressionarsi più di nulla.

DALLO SLAVIA ALLA JUVE… DAL CAMPO ALLA PANCHINA

Cesto era un toro: nonostante le preoccupazioni e le imposizioni della madre, aveva in testa solo il pallone. E gli inizi allo Slavia Praga furono promettenti, con evidenti miglioramenti – strano a dirsi – dopo l’esperienza a Dachau. Nel 1945, Vycpalek mostrava una tecnica di prim’ordine, occhi sempre sul campo e un gran tiro. La svolta l’anno dopo: la Juventus lo acquista (esordirà il 6 ottobre del 1946) e in seguito lo gira in prestito al Palermo. Con i rosanero, incantando la Favorita, diventerà il primo straniero ad indossare la fascia di capitano in Serie A e anche il primo straniero a segnare una tripletta nel massimo campionato italiano.

La panchina, però, era già lì ad attenderlo.: nel 1958, proprio a Palermo, ha inizio la sua carriera di allenatore. Quando la Juventus ingaggiò l’ex interista Armando Picchi come tecnico, però, le strade del successo si spianarono al tecnico di Praga: Picchi si ammala, Boniperti si ricorda della sua amicizia (e degli assist ricevuti…) con Cesto, che dal 1970-71 diventa allenatore della Juve. Il vero capolavoro di Vycpalek sulla panchina di Madama non fu rappresentato tanto dai due scudetti consecutivi (quasi la normalità nella Torino bianconera), quanto lo spostamento del tedesco Haller nel ruolo di seconda punta, per ovviare alla malattia di Roberto Bettega.

La Juventus ha rappresentato un qualcosa di estremamente segnante nella vita del buontempone allenatore cecoslovacco, amante della Domenica Sportiva e della musica del suo Paese. Il destino ha pensato di mettersi in mezzo anche in occasione della sua morte, avvenuta la mattina del 5 maggio 2002, giorno della conquista del 26° scudetto della Juventus e data sempre particolarmente emblematica per tutti i tifosi zebrati.

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