La Juventus come i Bulls di MJ: un’analogia che può funzionare

Lo sport più praticato all’interno dello sport stesso è quello delle analogie. Si corre sempre a rispolverare gli annali alla costante ricerca di similitudini. Un’esigenza che, verosimilmente, discende dall’intento di sapere prima come andrà a finire. Come se la storia fosse un orologio impegnato a battere le stesse frequenze, tra loro intervallate. Ci si potrebbe perdere nella molteplicità degli esempi. Ma quelli più affascinanti sono i parallelismi tra discipline differenti, appunto perché non consuetudinari e mai banali. A tal proposito, il tecnico juventino, Massimiliano Allegri, ha paragonato la sua squadra ai Chicago Bulls di Michael Jordan. Un azzardo?

Mister vs Coach

Phil Jackson, tecnico dei Bulls di quegli anni, è sicuramente il migliore di tutti i tempi. Gli esordi, la storia ed il palmarés sono differenti rispetto a quelli del mister toscano. Allegri ha infatti conosciuto il trionfo ed il grande allegripalcoscenico prima al Milan e solo successivamente alla Juventus. Squadra in cui ha vinto il suo secondo e terzo scudetto. Per quanto persistano delle diversità, non mancano le analogie. Infatti la base su cui l’americano fondò i suoi successi fu l’intercambiabilità: ruoli mai fissi, con i giocatori che si scambiavano costantemente le consegne offensive e difensive. Celebre, in tal senso, è lo schema dell’attacco a triangolo. Tutto questo riporta ad Allegri, il quale ha reso suo marchio di fabbrica queste evoluzioni in corso d’opera. In particolare, spesso schiera una difesa a 4 mascherandola con i tre centrali. O ancora, utilizza la duttilità di giocatori come Cuadrado per trasformare il classico 3-5-2 in un 4-4-2 in cui il colombiano ha consegne maggiormente offensive.

Zebre fameliche come tori

Unicum che accomuna le due squadre è sicuramente quella cattiveria portatrice sana di vittorie. Così come i Bulls, che scrissero la storia con il record di 72 partite vinte in regular season, gli juventini vogliono entrare nella jacksonleggenda provando ad assicurarsi il sesto titolo consecutivo. Un’impresa mai riuscita e difficilmente ripetibile. Per quanto l’importanza del risultato fosse epocale, i supporter di Chicago non potevano “accontentarsi”. A coronamento della stagione era necessario portare a casa l’anello, i play off. Ricorda niente? A voler essere banali, ma poco sinceri, si dovrebbe dire che tifosi bianconeri potrebbero accontentarsi dello scudetto. Epocale, intendiamoci, ma un successo europeo rappresenterebbe, come il titolo NBA, l’estasi del popolo di fede juventina.

Sua maestà

Per quanto per la stragrande maggioranza l’identikit corrisponda, lecitamente, a quello di Diego Armando dybala-finale-coppaMaradona; nel calcio non si trova una figura che sia universalmente accettata come quella paragonabile a Michael Jordan. Giocatori di assoluto livello hanno calcato i parquet americani, a tratti alcuni, forse, anche migliori del numero 23. Ma Jordan riusciva ad andare oltre le sue (straordinarie) qualità: dominava lo sport anche dal punto di vista mentale, con un impatto devastante anche all’approccio avversario. Tutto questo lo ha reso indiscusso simbolo del basketball. Pare chiaro: questo è uno di quei casi in cui le similitudini apparirebbero irrispettose. Per questo si prende la strada della provocazione. E se fosse l’antitesi del campione americano ad essere il suo alter ego? Qualcuno in grado di trascinare la Juventus nell’Olimpo europeo in modo diverso da quanto fatto da Jordan, con umiltà, in punta di piedi. Con l’estro e la classe cristallina di un giovane campione che vuole diventare leggenda. Vincere la Champions League sarebbe come prendere la strada principale, che porterebbe Paulo Dybala a raggiungere proprio quel suo mito, quello che sembra l’unico in grado di reggere il confronto, il Dies, cui ogni mancino argentino viene, appunto, puntualmente paragonato.

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