Allegri si racconta: “Due anni senza Juventus? Vi spiego come li ho passati”

Massimiliano Allegri si è raccontato a GQ Italia toccando vari temi, tra cui la sua pausa dal calcio, la Juve e il Real. Le sue parole.

Come hai passato questi due anni senza allenare?

Sono stato benissimo, a parte il secondo anno quando è scoppiato il Covid, come per tutti immagino. A febbraio del 2020, quando è iniziato tutto, ero in montagna con mio figlio; siamo tornati l’otto marzo, c’era il lockdown, e quindi mi sono rifugiato a casa mia a Livorno. Alla fine questi due anni mi servivano: ne ho fatti diciotto da giocatore e sedici da allenatore senza mai fermarmi.

Nella tua carriera non ti eri mai fermato?

Esatto, senza mai fermarmi, trentaquattro anni consecutivi. Questi due anni sono stati meravigliosi, le pause possono essere piene di cose positive, dipende sempre come guardi le cose. Vivi situazioni che avevi smesso di vivere, perché quando lavori a grandi livelli sei come in una centrifuga e quando ci sei dentro neanche te ne accorgi.”

Prosegue: “Quando poi ne esci, ti trovi a chiederti cosa ti eri perso, ti ricordi che c’è altro nella vita, gli amici per esempio. Io sono molto legato alla mia città, Livorno, ci ho finalmente passato un po’ di tempo. Sono stati anche momenti difficili, perché eravamo rinchiusi, però allo stesso tempo li ho vissuti bene. Il calcio mi è mancato soprattutto il secondo anno, però non l’ho mai vissuto come un’ossessione. Sono molto fatalista e le cose vanno lasciate andare, forzarle non ha senso.

Ma tu sei uno che segue il calcio anche da semplice appassionato o non riesci?

Più che altro ci sono delle partite che mi appassionano. A marzo ho guardato Real Madrid-Paris Saint-Germain e l’ho trovata una partita fantastica; mi sono veramente emozionato a vederla perché ci sono state delle giocate tecniche di giocatori di assoluto valore, è stata la dimostrazione che i campioni la differenza la fanno nel carattere, nell’orgoglio, vedi Modric e Benzema. Sono stati meravigliosi.

Prosegue: “Quando ero fermo, più che altro andavo a vedere ogni tanto i miei amici che allenano a livello dilettantistico, mi divertivo un po’ così. Poi ovviamente guardavo un po’ di partite quando mi capitava ma non ne ero assolutamente ossessionato. Mi sono dedicato un po’ al tennis, ho letto, fatto cose mie, non è che si potesse far molto, però sono stati due anni passati bene, e infatti dopo che ho ricominciato mi ci è voluto un po’ per riprendere i ritmi giusti.

Ti cambia una pausa come questa? Anche nel modo di vedere il tuo lavoro?

Ti cambia sì, cambia l’approccio al lavoro, la gestione, non è facile ritrovare subito l’abitudine a certi ritmi. Per me il lavoro è passione e divertimento, altrimenti non riuscirei a farlo, credo. Lo dico sempre: nel momento in cui sarò stanco o non avrò più voglia e non mi divertirò più, smetto. E se non sono in condizione di accorgermene da solo spero che qualche mio amico me lo dica: “Smetti perché sei patetico.”

Mi sembra un po’ presto ancora, no?

Dipende uno da che vuole fare nella vita! Uno che mi è rimasto come punto di riferimento è Platini, il primo giocatore a smettere a trentadue anni. C’è l’aspetto economico certo, c’è la fama, la passione. Però va trovata la forza per capire quando è giusto smettere e come è giusto farlo.

Che poi, forse, per riuscire a farlo devi avere anche altro nella vita, no? Tu sei uno che ha sempre spinto il fatto di essere di Livorno, quanto è stata importante?

“È stata ed è la mia forza. Livorno per me è sempre stata il mio rifugio: quando capivo che le cose non andavano o che stavo perdendo il contatto con la realtà, me ne andavo a Livorno e ritornavo, diciamo, in quella che è la vita reale. Mi ha aiutato anche nel lavoro, perché dalle nostre parti sdrammatizziamo molto.

Massimiliano Allegri

Juventus o non Juventus, quest’anno sarebbe finita comunque la tua pausa? Saresti tornato ad allenare al cento percento?

Sì, era il tempo giusto. Sono stato fermo parecchio, sarei comunque tornato ad allenare, avrei potuto farlo prima ma poi sono subentrate anche questioni personali e di famiglia. Nel 2018 è venuta a mancare mia madre, quindi nel 2019 non mi volevo allontanare troppo, e ne ho approfittato per stare vicino a Giorgio, il mio figlio più piccolo, la grande ormai vive a Milano ed è autonoma; mio padre è a Livorno e ha risentito molto della mancanza di mia madre.

Prosegue:La decisione di tornare alla Juventus, oltre al fatto di essere legato alla proprietà e al club, è anche frutto del desiderio di stare accanto a mio figlio, che vive a Torino con la madre. Sono uno a cui piace avere tutti gli affetti vicini.

Però si parla molto di Allegri che comunque alla fine non è mai andato all’estero, nei grandi club europei.

L’ho detto e lo ripeto: quest’anno avevo già firmato un accordo con il Real Madrid. Poi la mattina ho chiamato il presidente e gli ho detto che non sarei andato perché avevo scelto la Juventus. Mi ha ringraziato.

Hai avuto dubbi?

No, da quando mi ha chiamato la Juventus a maggio non ho avuto nessun dubbio.

Certo, allenare il Real Madrid…

A livello professionale sarebbe stato il coronamento di un percorso, certo: Milan, Juve, Real. Ma nella vita non si può avere sempre tutto e io sono davvero contento e orgoglioso di aver allenato per quattro anni il Milan e ora essere al sesto in un club come la Juventus.

Prosegue:Al Real ho detto no due volte. La prima è stata mentre ero in fase di rinnovo con la Juve: dissi al presidente del Real che avevo già dato la mia parola a Andrea Agnelli.

Massimiliano Allegri

Che a tutti gli effetti è il presidente di quello che oggi possiamo dire essere anche il tuo club. Hai trovato una Juve diversa dalla prima volta in cui ci eri arrivato? Mi sembra che la fase sia un’altra…

Lo è. Ed è una bella sfida, interessante, che ho la fortuna di affrontare al fianco di una proprietà che è la stessa da sempre, e che ha voglia come me di tornare a vincere. Quando sono arrivato la prima volta nel 2014 era tutto diverso; Antonio Conte aveva fatto un gran lavoro insieme alla società, vincendo tre campionati e costruendo una squadra molto forte che andava solo rifinita.”

Prosegue: Quest’anno è una squadra molto diversa da quella, con molti giovani, con giocatori forti ma con meno esperienza. Però stiamo ripartendo da una base chiara, che è il Dna della Juventus, e che consiste nel tornare a vincere ma sapendo soffrire e avendo voglia di lottare sempre.”

Continua: “Tornando ho trovato un gruppo di ragazzi disponibilissimi oltre che tecnicamente bravi. Si sono messi subito a disposizione, con molta voglia di lavorare che è un elemento che ti trasmette questo club. Io credo che la Juve stia ritrovando il senso d’appartenenza, che è molto importante in prima squadra ma anche nel settore giovanile.

È vero che non si parla mai di singoli, ma ci sono dei giocatori di questa Juventus che ti hanno sorpreso in positivo?

Una sorpresa meravigliosa è stato Danilo. È un campione, un ragazzo molto intelligente, responsabile e che si mette sempre a disposizione della squadra. I Bonucci e i Chiellini li conosciamo già, però Danilo è stato veramente una scoperta.

Ma cosa hai raccontato a Morata a gennaio per farlo restare a Torino?

La sera che la società ha preso Vlahovic ho chiamato Álvaro e gli ho detto: «Non ti muovi da qui perché ora con lui diventi un giocatore molto più importante», e così è stato. Discutere Morata tecnicamente è da folli; è normale che se gli si chiede di far cose che non è in grado di fare possa non rendere al meglio, ma non dimentichiamoci che lui si è messo a disposizione e ha giocato per mesi in una posizione che non era propriamente la sua.

Cosa ci dici di Vlahovic?

È un ragazzo giovane, con poca esperienza internazionale, che però ha qualità, vuole e può migliorare, e ha tutto il tempo per farlo. Davanti alla porta ha una cattiveria assoluta. La Juventus ha fatto un acquisto importante: nel mondo lui, Mbappé e Haaland sono i più forti in circolazione della loro generazione.

Dusan Vlahovic of Juventus

Come sta in generale, a livello tecnico, il calcio italiano?

Al di là di alcune cose che sono cambiate e di cui va preso atto – la struttura fisica dei ragazzi, e la globalizzazione del calcio, due fattori che pesano –, io credo che il problema principale è che si usano i giocatori come cavie degli allenatori, sia nelle prime squadre che nei settori giovanili. Ma il calcio è un’arte, madre natura ha il suo peso.

Prosegue: “Tutti possono migliorare, certo, ma se uno è scarso può diventare meno scarso, non diventerà mai uno bravo. E uno che è bravo può diventare più bravo. Va data un’organizzazione, un’idea di gioco, poi però il calcio di fatto ha una componente psicologica e umana da cui non si può prescindere: ci sono giocatori che un anno fanno bene e un altro fanno male, perché? Perché sono esseri umani.

Ai ragazzi va insegnato il gioco del calcio, perché uno che ha conoscenza del calcio poi gioca ovunque. Io sfido chiunque a ricordare, quando Ronaldo contro la Juventus a Torino fece goal di rovesciata, l’azione che ha portato Ronaldo a fare quel gesto. Ti ricordi la rovesciata o l’azione?

La differenza la fa il campione, non solo quando segna ovviamente, in generale quando gioca, quando difende, quando attacca; poi è ovvio che l’allenatore li deve mettere insieme, come è ovvio che ci siano dei momenti in cui il giocatore ha bisogno di sentirsi dire una cosa o un’altra. La sensibilità e la percezione del gioco da parte dell’allenatore è fondamentale, ma non si può ridurre tutto a uno schema.”

Continua: “Io credo che il nostro lavoro sia cercare di fare rendere al meglio i giocatori tecnicamente bravi in un complesso di squadra. Ormai si parla solo di gioco di squadra, ma per giocar bene sempre bisogna che tutti e dieci si passino la palla come si deve, perché se il primo la passa al secondo e il secondo la passa al terzo e sbaglia, finisce l’azione.

Ormai il mondo del calcio, addetti ai lavori e appassionati, si è diviso in due: quelli che prediligono il cosiddetto bel gioco, e quelli che invece preferiscono pragmatismo e risultati. Ovviamente è una semplificazione, tutti sappiamo che la verità sta nel mezzo, però anche tu sei finito in mezzo a questa discussione. Come siamo arrivati a questo infinito derby?

È di moda, è divertente! Guardiola, che è un allenatore straordinario, cosa ha fatto? Tutti pensano a partire dal basso, lui ha comprato un portiere che lancia la palla a ottanta metri. Questo per dire che spesso la gente si fa abbindolare da cose che non esistono: alla fine c’è da vincere la partita.

Prosegue: “E tutte le partite non sono uguali, senza contare che all’interno della partita ce ne sono tante diverse: a settembre le partite sono diverse da marzo, a marzo ci vuole la calma, le pressioni psicologiche sono maggiori, i punti pesano e il pallone diventa più piccolo e più pesante. Sono componenti che dall’esterno giustamente i tifosi non valutano. Ci vogliono meno schemi e più elasticità e pragmatismo.

Ma questo è un discorso che i ragazzi, i giocatori, capiscono?

I ragazzi bisogna abituarli a capire, i giocatori devono essere pensanti. Io voglio giocatori che pensano e ragionano, che quando hanno la palla e trovano una porta chiusa sanno trovare un’altra soluzione. Se non lo abitui a pensare, diventa meccanico. Ma di meccanico, nel calcio, non c’è niente.

Simone Borghi

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