Il fallimento di un progetto triennale: motivazioni e colpe di una linea societaria inconcepibile

La Juventus esce dalla Champions League, e non ci sarebbe neanche nulla di male se non fosse per il quando (agli ottavi), il come (rimanendo in balìa dell’avversario), il chi (il Porto è nettamente inferiore) e il perché (aver speso milioni di euro da Ronaldo in giù). Quello che la partita di ieri ha sancito non è una sconfitta maturata sul campo e neanche un’annata quasi da buttare ma il fallimento di un progetto societario di durata triennale.

Quando nel 2018 all’ultimo secondo Cristiano Ronaldo metteva dentro il rigore della qualificazione (per il Real Madrid, purtroppo), i tifosi bianconeri avranno pensato che dopo la rete in rovesciata dell’andata mancava solo uno così per colmare il gap con le migliori d’Europa. Il pensiero deve aver sfiorato anche Fabio Paratici e Andrea Agnelli, che hanno confezionato l’affare del secolo, per buona pace di Marotta che di lì a poco avrebbe fatto le valigie per la Milano nerazzurra.

Da quel momento in poi ci si aspettava il definitivo salto di qualità, quello (per intenderci) che permette al Bayern Monaco di essere lì da sempre e rimanerci praticamente per sempre, e di poter arrivare alla tanto agognata coppa in un’annata migliore delle altre. Niente di tutto questo: l’impresa con l’Atletico Madrid e poi il buio con l’Ajax, il “dimissionamento” (che fu esonero) di Allegri; la follia di Lione, il Covid e il ritorno quattro mesi dopo che segnò il destino di Sarri; l’arrivo di Pirlo e la nuova vergogna europea.

L’arrivo di Cristiano Ronaldo non ha quindi portato a ciò che si era sperato ma il problema non è solo il portoghese: un campione come lui difficilmente si mette al servizio della squadra, ma per molte partite ha tolto letteralmente le castagne dal fuoco ai bianconeri, per poi andare incontro ad una inevitabile flessione. Il vero problema è che i suoi numeri stratosferici non sono stati accompagnati da una parallela crescita della squadra.

Analizzando banalmente i titolari del 2018 e quelli del 2021 non rimangono che pochi nomi: Cuadrado, Bonucci, Alex Sandro. E questo può anche essere positivo, perché la squadra dovrebbe essere andata incontro ad un profondo rinnovamento. In realtà la questione è un’altra: quali calciatori tra coloro che sono arrivati sono stati sempre all’altezza dei loro predecessori?

Un altro problema è stato il mancato perseguimento di un unico progetto societario: andare avanti con Allegri o tentare di ricucire il rapporto con Sarri. Come si può chiedere continuità ad una squadra rimessa a nuovo ogni settembre senza una linea guida netta? Come poteva Cristiano Ronaldo fare la differenza in Europa con tre allenatori in tre anni? Come potevano i giovani crescere serenamente se non hanno mai avuto tempo di maturare?

Questo editoriale lascia più domande che risposte, ma una ci sentiamo di darla: il problema del fallimento di un progetto triennale di una squadra di prima classe come la Juventus sta in coloro che si sono sentiti costantemente in dovere di smantellarne l’essenza ad ogni scricchiolio. Perché nessun calciatore rimane per sempre, ma la maglia e la società sono eterni, e molti negli ultimi anni non ne sono stati all’altezza, non solo tra coloro che scendono in campo.

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