La Juventus e gli “ambienti destabilizzati”: due mondi paralleli

“Non ci resta che…vincere (non piangere)”. Dotta citazione cinematografica di Max Allegri nella conferenza stampa di questa mattina: da quella ormai storica e “fantozziana” del pesce-ratto, a questa altrettanto celebre con riferimento al grande film targato Benigni-Troisi. Il destino della Juventus, d’altronde, è sempre stato quello sin dalla nascita: vincere. E fa niente se improvvisati avversari, arrovellandosi all’ombra di una invidia celata malissimo, assimilano il motto bonipertiano ad un adagio dai camorristici toni. Il rumore (e la bile) dei nemici ha sempre rappresentato linfa vitale per chi è abituato a stare davanti senza voltare le spalle.

Il tono fermo del tecnico bianconero è la cartina di tornasole di un ambiente abituato sempre a stare “sul pezzo”, in particolare se mancano poche giornate ad un appuntamento storico. Perché se è vero che anche il Grande Torino ne vinse cinque di fila (sebbene ci sia stata la “pausa” della Seconda Guerra Mondiale) eguagliare (e superare..? Facciamo un passo alla volta) la Juventus del quinquennio nell’epoca attuale, sarebbe un risultato straordinario.

La fraseologia fatta sul concetto di vittoria diventa un mantra inutile e ripetitivo se applicato ad una squadra che in pratica non sa fare altro: se non ci riesce, si pensa immediatamente a come farlo la volta successiva. Una lezione mandata a memoria, perché come diceva il grande Julio Velasco, “prima di imparare a vincere, bisogna imparare a perdere”. Un concetto lampante, che appartiene ad una storia di cui molte squadre improvvisatesi grandi non riescono a mandar giù. Ci sono tanti meriti nell’essere arrivati a competere per uno Scudetto, ci possono essere molti demeriti nel non essere in grado di gestire l’importanza del momento topico di una stagione.

Dettaglio? Tutt’altro. Prendiamo ad esempio il calciomercato, isola franca in cui i giornalisti sportivi nuotano Banner-Editoriale-Gennaro-Acunzoallegramente, stretti tra la necessità di riempire pagine e le manie di protagonismo da piccolo schermo. Poniamo un quesito: se ogni qual volta una squadra di serie A dovesse scrivere comunicati e minacciare querele per una “voce” di mercato che avrebbe destabilizzato l’ambiente (ma davvero è così facile…?), non forse avremmo il risultato di paralizzare tutti i tribunali d’Italia? Sarebbe ridicolo. Lungi da noi l’aderire ad un improbabile “corporativismo professionale”: non avrebbe senso, come non ce l’ha quello che è successo qualche giorno fa.

Ecco, questo non è un dettaglio, perché un ambiente a tenuta stagna e impermeabile agli attacchi (o presunti) tali provenienti dall’esterno, ha di molto meglio da fare che alzare la voce per mascherare la paura.

Gennaro Acunzo

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