Buffon: “Ero un ultrà, ho fatto anche io le mie cazz**e. Sulle droghe…”

Le parole del portiere del Psg

Gianluigi Buffon, portiere del Paris Saint-Germain, ha rilasciato un’intervista a Vanity Fair nella quale ha svelato alcuni particolari nascosti sulla sua giovinezza.

I RICORDI DA ULTRA’

“Ero ultrà del Commando Ultrà Indian Tips, il nome del gruppo di tifosi che seguivano la Carrarese: ancora ce l’ho stampato sui miei guanti. Incontravo gente di cui si parla tanto senza saperne nulla. Ragazzi normali, sognatori, idealisti. Alcune persone interessanti e qualche deficiente… Da ragazzo covavo una sensazione di onnipotenza e invincibilità. Mi sentivo indistruttibile, pensavo di poter eccedere, di fare quel che volevo”.

GLI ANEDDOTI DA RAGAZZO

“Mi tengo ben stretta la sana follia dei miei vent’anni. Ho fatto le mie cazz**e, ne ho assaporato il gusto e in un certo senso sono contento di non essermene dimenticata neanche una. Vi racconto una storia che risale a vent’anni fa. Dopo una partita diedi un passaggio a un tifoso del Parma. Al casello c’era un posto di blocco della polizia. Appena vide le luci blu, lui si dileguò. A confronto con loro rimasi solo io…”.

L’USO DI DROGHE

“Non drogarsi, non doparsi, non cercare altro fuori da te sono principi che i miei genitori mi hanno passato presto. A 17 anni, quando in discoteca mi mettono una pasticca sulle labbra, io so come e perché dire di no. Mai fatto uso di droghe? Un tiro di canna fatto da ragazzo. Semmai ricordo la nuvola di fumo che avvolge i tifosi della Casertana, una nebbia provocata non dai fumogeni, ma da 200 canne fumate tutte insieme: è come se la vedessi ora”.

LA MORTE DI DANIELE BELARDINELLI E LA QUESTIONE MIGRANTI

“È difficile provare a contestualizzare quanto successo a Milano. L’odio è un vento osceno, da qualunque parte spiri, non solo in uno stadio perché ho il forte sospetto che il calcio, in tutto questo, reciti soltanto da pretesto. Migranti? Se affonda un barcone a Lampedusa e muoiono 300 persone ci commuoviamo e pensiamo anche ad adottare i bambini rimasti orfani, ma se non affonda ci lamentiamo dell’ingresso di 300 immigrati e ci chiediamo cosa vengano a fare”.

LA DEPRESSIONE

“Per qualche mese, ogni cosa perse di senso. Mi pareva che agli altri non interessassi io, ma solo il campione che incarnavo. Che tutti chiedessero di Buffon e nessuno di Gigi. Fu un momento complicatissimo. Avevo 25 anni, cavalcavo l’onda del successo e della notorietà. Un giorno, a pochi minuti da una partita di campionato mi avvicinai a Ivano Bordon, l’allenatore dei portieri, e gli dissi: “Ivano, fai scaldare Chimenti, di giocare io non me la sento”. Avevo avuto un attacco di panico. Non ero in grado di sostenere la gara. Come ne uscii? Se non avessi condiviso quell’esperienza, quella nebbia e quella confusione con altre persone, forse non ne sarei uscito. Ebbi la lucidità di capire che quel momento rappresentava uno spartiacque tra l’arrendersi e fare i conti con le debolezze che abbiamo tutti. Non ho mai avuto paura di mostrarle né di piangere, una cosa che mi capita e di cui non mi vergogno affatto”.

LA MANCATA QUALIFICAZIONE AL MONDIALE

“Ventura? Che noi calciatori lo abbiamo osteggiato è una balla colossale. Ventura ha avuto la nostra massima disponibilità e lo abbiamo difeso in ogni occasione. A un certo punto, è vero, si è sentito solo. Ma forse un sostegno diverso avrebbe dovuto averlo da chi di dovere. Evidentemente molte cose non hanno funzionato come avrebbero dovuto. Come insegnante di calcio, a me Ventura è piaciuto tantissimo”. 

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