Andrea Pirlo: la lectio magistralis di un leader silenzioso

Nulla è solo una questione di pratica, di realizzazione pura e immediata, di concretezza assoluta. Tutto ha un dietro le quinte articolato in una fitta trama di meditazione, di calcolo, di teoria. E non solo nella filosofia, non solo nella speculazione puramente ideale. C’è una potenza e c’è un atto, c’è una elaborazione e una composizione. C’è chi poi ha la potenza nella mente e l’atto nei piedi, la mente  e il braccio, l’idea e la forma, perfettamente distillate in sé in un unico incantesimo chiamato talento.

Questa volta no, non vi chiediamo di immaginare campi di battaglia né di seguire le tracce di condottieri brutali e inarrestabili. Nessun riflesso in scudi splendenti, nessuna corazza da indossare. A volte l’eroico non è solo in un braccio alzato ad impugnare una spada, in un grido di battaglia, nell’impeto di un gesto non preventivato, istintivo ma efficace. A volte l’eroico si cela dietro una mente in grado di prevedere, di anticipare e di colpire con ingegno, con grazia e con la leggiadria istantanea di un calcolo perfetto e vincente. Per una volta oseremo scomodare gli scanni più alti, quelli dei filosofi e dei matematici, le dottrine più autorevoli, gli ingegni più sublimi.

MAESTRO!

Andreuccio da Brescia, il Maestro, Mozart, il Metronomo: di soprannomi ne ha tanti, tanti quante sono le virtù. Tanto quanto lo stupore e lo spettacolo che sempre riesce a far brillare negli occhi dei suoi tifosi e degli spettatori, come ipnotizzati da un funambolo che calcola al millimetro ogni passo ed ogni dettaglio gravitazionale, un Phelippe Petit in equilibrio su fili d’erba che nella sua concentrazione vive e pianifica la prossima mossa.

Un funambolo che si aggira tra le nuvole, tra le vette più alte. Traguardi impensabili per un comune essere umano. Habitat naturale per una leggenda. Perché si sa, Pirlo abita sulla cima del cielo, da dove tutto scruta e tutto organizza, come se fosse lui a decidere quale sarà il passo vincente sulla verde scacchiera del campo. Una mente superiore che scende sulla terra, per dettare tempi e modi. Una mente superiore, che anticipa il resto del mondo di una frazione di secondo. Tranquillo, calmo, imperturbabile. Come un filosofo stoico, nulla può disturbare i suoi piani. Perché se la virtù sta all’interno dell’uomo, e non al suo esterno, questo è vero anche per la magia.

LÀ DOVE LA MENTE UMANA NON PUÒ ARRIVARE

Se si volesse trovare la fonte del suo genio, non basterebbe vagare per l’immanente mondo comune, quotidiano, prosastico. Sarebbe necessario elevarsi per sbirciare là dove la mente umana non può arrivare, quel luogo verso il quale può soltanto anelare. Al di sopra del cosmo, al di là della siepe. Si potrà tacciare tutto ciò di eccesso o di retorica, ma come non ripensare, davanti alle sue trovate e alle sue perfette simmetrie, a quella frase platonica del Fedro, in cui si immagina l’anima che nell’Iperuranio «dopo che ha contemplato tutti gli esseri che veramente sono [idee] e se ne è saziata, di nuovo penetra all’interno del cielo, e torna a casa.», come non pensare che i poeti e i filosofi altro non descrivevano che questo mondo, di altro non avevano esperienza che di questa realtà comune e, dunque, che qui è da riscoprire lo stupore della meraviglia e qui ritrovare le tracce di una bellezza che si manifesta nelle più strane e inusuali sembianze, anche, perché no, nelle magie di due scarpette da calcio. È sufficiente soltanto spingersi oltre la superficie.

E oltre la superficie si è sempre spinto il nostro Pirlo. Ed oltre quella superficie, osando profanare il trascendente, l’immutabile mondo delle Idee di platonica memoria, Andrea Pirlo si è spinto più e più volte. Perché non è un caso, se le sue giocate sono ancora impresse negli occhi e nel cuore di tutti, se un lancio può lasciare a bocca aperta più di un goal . Tecnica che viene da un altro universo, incanto che non si impara, se non contemplando l’assoluto.

I PRIMI ANNI DI CARRIERA E L’INCONTRO CON MAZZONE

Nato nel 1979 a Brescia, muove i primi passi nella Voluntas e poi nelle giovanili del Brescia. Nel 1995 , scende in campo nella partita  Reggiana-Brescia, conquistando la sua prima presenza tra i professionisti, diventando, a soli 16 anni e 2 giorni, il più giovane esordiente del Brescia in serie A. Un Brescia, tuttavia, già condannato alla retrocessione. Dopo aver vinto, nella stagione successiva, il Torneo di Viareggio con la Primavera , nel 1997 entra in prima squadra e porta a casa il primo trofeo importante, il campionato di Serie B.

Ormai titolare della sua società di nascita, non riesce ad evitarle una seconda retrocessione, così nel 1998, riceve una chiamata importante, quella dell’Inter. Dopo una stagione di sole diciotto presenze e molta molta panchina. Nel 1999 è mandato in prestito alla Reggina, quindi, nuovamente, al Brescia. Quello che poteva sembrare un punto di stallo, diventa, tuttavia, la svolta decisiva della sua carriera.

L’allenatore Carlo Mazzone decide di arretrare la sua posizione e da trequartista Pirlo raggiunge la posizione che poi si rivelerà a lui più congeniale, quasi fatta su misura, quella di regista, di playmaker nel senso più puro, in grado di organizzare il gioco e fungere da fulcro propulsore che imprime movimento e azione a tutta la squadra. Una straordinaria visione del campo nella sua interezza, questa la sua dote precipua, come se di quel campo avesse nella sua mente una riproduzione estremamente dettagliata, una percezione millimetrica, come se quel campo fosse la sua mente e viceversa. Nella nuova posizione, egli si ritrova fianco a fianco con Roberto Baggio e i due, in una fluida e rara intesa, danno vita ad una catena di montaggio di assist e reti che trascina il Brescia al settimo posto in serie A.

DAL ROSSONERO AL BIANCONERO

Sembrava non dovessero incontrarsi, ma soltanto scontrarsi, le strade della Juventus e del Mozart del calcio italiano. Dal 2002 al 2011 Pirlo diviene simbolo, icona, uomo fondamentale del Milan, rivale storica della Vecchia Signora. Pedina insostituibile, contribuisce a scrivere la storia dei rossoneri: vince tutto, il Maestro. Due gli scudetti e, soprattutto, due le Champions, una strappata proprio alla Juventus. Magie su magie, faro del centrocampo, inamovibile.

Eppure qualcosa tra Pirlo e il Milan si spezza. E nel 2011 il filosofo del pallone decide di cambiare, ha bisogno di nuova aria, nuovi stimoli, nuova fiducia. Anche i più grandi maestri, a volte, han bisogno di ritrovare se stessi. E accetta una sfida, se vogliamo, ancora più grande. Decide di prendere le chiavi di una Juventus che ancora non ha trovato la propria identità, per guidarla nuovamente ai ranghi più alti, dopo tanti anni di oblìo. Altra mossa indovinata, altra scommessa vinta. La Vecchia Signora trova il genio matematico di un maestro che non ha affatto finito di insegnare, di dettare tempi e ritmi. Quell’organismo ancora stonato comincia a trasformarsi in una vera e propria orchestra, sintonizzata nuovamente su una vecchia melodia, tanto nota ma mai intramontabile: quella della vittoria.

E non è un caso se il primo goal di quella nuova Juventus, che in pochi anni sarebbe diventata una vera e propria corazzata e macchina da guerra, porti il segno di Andrea Pirlo: suo, infatti, il lancio pennellato per il goal di Lichtsteiner contro il Parma, seguito, nella stessa gara, dall’assist per il goal di Marchisio. Logico, razionale, preciso: non sbaglia un colpo e permette ai propri compagni di mettere al sicuro una vittoria dopo l’altra. Come Archimede durante l’assedio di Siracusa ad opera dei romani, Pirlo costruisce, progetta e prepara quelle armi che, poste nelle affidabili mani dei compagni, consentiranno di difendere la propria posizione, di non mollare un centimetro di campo, di aggredire e di non concedere, a nessuno, di intaccare quanto raggiunto con un mix esplosivo di ingegno e di abnegazione.

Passo dopo passo, il Mozart del calcio tesserà lo spartito perfetto, cucito addosso a quella squadra bianconera che comincia a trovare la sua dimensione, che comincia a farsi quadrata, compatta, veloce, che torna a farsi bella e a strappare applausi dopo ogni singolo concerto. Quella squadra bianconera che è ormai pronta ad un testa a testa contro la prima della classe, contro la squadra da battere: il Milan. E sarà proprio la Vecchia Signora ad avere la meglio, a riassaporare una sensazione che da troppo tempo mancava, dopo una corsa lunga, faticosa, logorante, ma allo stesso tempo ricca di speranze rinnovate e di un fuoco ritrovato, quello dell’ambizione. E sarà una corsa sostenuta dai muscoli di veri e propri gladiatori, impossibile negarlo, ma allo stesso tempo ritmata dalle perfette note del maestro d’orchestra, scandita dalle precise geometrie del matematico, sostenuta dal volto imperturbabile e dalla calma disumana di chi sa che fili muovere e che tasti toccare per fare in modo che l’intero meccanismo funzioni al meglio. Il maestro continua a vincere, proprio contro quella squadra che prima l’ha amato e poi lo ha rinnegato. La Juventus torna sul tetto d’Italia, dopo anni di sofferenze e di ristrettezze.

Ed è proprio da qui che si apre una nuova storia, durata solo quattro anni, è vero, ma tanto intensa da legare Pirlo e la Vecchia Signora nel profondo. Per entrambi è una rivincita, una rinascita, una riaffermazione, una palingenesi. Come se, partendo nuovamente dallo zero assoluto, il maestro e la Signora siano in grado, insieme, di ritrovare la strada che il fato ha donato loro, di dare concretezza alla storia che è scritta nei loro geni, che non può essere manipolata: quella di splendere, di stupire e di vincere. Perché dopo il primo scudetto arriva il secondo, e poi il terzo, e ancora il quarto, oltre a due Supercoppe italiane e una Coppa Italia. E perché, alla fine, arriva anche una finale di Champions, contro gli alieni del Barcellona. E destino vuole che, proprio dopo questa occasione, il maestro e la Vecchia Signora debbano dirsi addio. Destino vuole che sia una sconfitta a ricordare questa separazione, a moltiplicare la malinconia e acuire la sofferenza. Qui, quando il maestro si lascia andare in un pianto. Le lacrime di chi, pur imperturbabile, pur ormai eternato da anni di prodezze, pur simile a un dio, lascia scorgere il proprio lato umano, per una volta.

Ego cogito, ergo sum, sive existo dicono i suoi occhi, quando si ferma a ponderare, a misurare la prossima mossa. Di Cartesio ha la filosofia e ha anche la matematica. Immaginate un campo che si fa piano cartesiano, due piedi che conoscono esattamente le coordinate di ogni passaggio, ogni millimetro. Le proporzioni disegnano la perfezione. Il campo è dominato intrinsecamente da leggi matematiche e Pirlo sembra conoscerle tutte, non resta che tradurle in atto. Sa bene come trasformare la δύναμις in ἐνέργεια, come il calcolo possa farsi capacità di agire. E continua a costruire geometrie. Uno dei postulati euclidei afferma che è sempre possibile tracciare una retta tra due punti qualunque. Ecco, esattamente. Pirlo deve averne fatto tesoro, perché mai nessun punto sembra per le sue traiettorie irraggiungibile. La sua parabola è una delle più famose della storia del calcio, la “maledetta”, quella traiettoria ad effetto Magnus, una incurvatura che aumenta la sua velocità, imprendibile, imprevedibile e inaccessibile a qualsiasi altra mente e fantasia.

Su calci piazzati si trasforma in un novello Euclide, alle prese con lo studio della tridimensionalità e delle sue conseguenze, con lo studio delle figure curve, ellissi, parabola, iperbole. Forse una maledetta come quella del nostro Andrea, nemmeno il matematico greco l’avrebbe indovinata, forse non sarebbe nemmeno riuscito ad individuarne l’equazione esatta. Il Maestro vede strade che gli altri non percepiscono, spazi nascosti ai più ed è a questi che affida il pallone, è lì che lo indirizza, dove nessuno può arrivare. Inutile chiedersi se sia più genio o più maestria, se sia più lucidità o ispirazione, più geometria o poesia o filosofia. Sarebbe come chiedere ad un poeta  di spiegare una sua creazione, come cercare di analizzare parole che sono  frutto soltanto di un imperscrutabile ed inafferrabile magia. Intelligenza, raffinatezza, classe, precisione e talento, sprazzi abbaglianti di acume e poi la meraviglia: tutto questo è Pirlo, tutto questo è stato e tutto questo rimarrà. Leader e Maestro silenzioso di una sublime lezione di calcio.

“…Maestro, perché tra tutti i suoi soprannomi è sempre stato quello che ci è piaciuto di più. I compagni lo chiamano “Professore” e in effetti, per loro, campioni affermati, trovarsi al fianco di Andrea è come seguire una lectio magistralis. Per chi invece professionista non è, conoscere la raffinata semplicità del suo gioco è una rivelazione continua, è come scoprire l’essenza stessa del calcio. Ecco perché per noi “Maestro” è più indicato. E poi è l’appellativo degli artisti, siano essi pittori, registi del cinema, direttori d’orchestra. 
Pirlo, in campo, è tutto questo. È carisma silenzioso, è controllo di palla, è la finta che spiazza uno, due, tre avversari in un colpo. È l’apertura improvvisa, il pallonetto che scavalca la difesa.
È la testa in moto perpetuo, quando il gioco è lontano. Uno sguardo a destra, uno al centro, uno a sinistra, per tenere d’occhio compagni e avversari. Per sapere prima di tutti cosa accadrà: non è preveggenza, non è istinto. È pura e semplice intelligenza.
Una dote che, unita a due piedi delicati e precisi, ha plasmato un fuoriclasse inarrivabile…”.
 

Così lo ha salutato la Juventus nel 2015. #WeAreImpressed, lo eravamo e lo siamo ancora.

Martina Santamaria & Stefania Lupelli

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