Evoluzione di un pubblico in festa, in odore di Europa

Mentre tutti sono impegnati ad elogiare i campioni, taluni spinti da sinceri sentimenti di ammirazione, talaltri facendo violenza su se stessi, incalzati da doveri professionali, certuni più coerenti sproloquiando effetti chiari ed inequivocabili di travasi biliari, colui che scrive si vuole soffermare sulla componente più necessaria e meno considerata talvolta, incastonata come se fosse parte dell’architettura nello stadio della Juve.

Del pubblico, di come si comporta, di come vomita umori, di come sublima nell’ultimo coro un sentire comune, non parla nessuno. Salvo se all’orizzonte si profila una multa o una squalifica. Eppure si provi anche solo per un attimo ad eliminare 40 mila bandierine agitate in un bianconero da brivido o a diffondere l’inno senza una sciarpata di tutti i settori. “per vedere di nascosto l’effetto che fa” cabarettava Iannacci.

Già, il pubblico. Quell’entità che sei anni fa, salutato del Piero ed affamato di “festa”, dopo i digiuni derivati dalla “vaccata” di Calciopoli, dava spazio unicamente ad una cerimonia paludata, con l’ultimo  trofeo alzato al cielo da Alex per poi tracimare in campo costringendo giocatori e quant’altro ad un fuggi fuggi generale alla “sisalvichipuò”. Appuntamento all’anno successivo. Al seguito di corposi avvisi dello speaker, finalmente dalla curva, al solo fare capolino di un ignaro Vucinic dalla porta degli spogliatoi, un orda barbarica, rispetto alla quale i visigoti erano innocui micetti da latte, si scatenava nel sacco di….pali, traverse e zolle di terreno verde.

E così pure l’anno successivo, anche se con il freno a mano tirato, perchè Antonio se ne andava o anche no, infine sì. Tutto ciò che di bello si poteva vedere, applaudire e godere era spazzato via dall’irrazionale bisogno di portarsi a casa un trofeo, ovviamente non quello che aveva vinto la squadra. La nipotina che era venuta allo stadio per assistere all’apoteosi, mestamente doveva voltarsi e prendere delusa la via del ritorno.

Al quarto anno le fila degli stewart verso la sud si sono raddoppiate, ma con esiti rivedibili. Anche se al grido di “Ce ne andiamo a Berlino” molti iniziavano ad avere la percezione di trovarsi di fronte ad una squadra e ad una società che puntava a livelli ben superiori di quelli nazionali, per i quali non valeva più la pena scalmanarsi tanto.

Niente da fare, 5 scudetti di fila sono una roba che non capita tutti giorni, quindi è il caso di impadronirsi di un “ricordino”, per cui, alè tutti dentro il campo a fare selfie e tagliare zolle. Stesso copione, stesso déjà vu.

Mentre finisce la partita ed anche la resistenza al sole di maggio che sembra quello di agosto, chi scrive si sorprende a prevedere e subire lo stesso trattamento di sempre. Perchè chi scrive vorrebbe gustare un finale da grande squadra che ha un grande pubblico, al netto dei soliti stewart sacrificati all’altare dell’invasione. Invece, proprio quando meno se lo aspetta, la premiazione giunge alla fine, la foto ricordo pure. La doppia fila di addetti all’olocausto si serra in una sola e viene chiamato mister Allegri sotto la curva. Il lider maxim..iliano arriva al piccolo trotto, saluta, si inchina come un direttore d’orchestra di fronte all’auditorio, saluta e mostra  32 magnifici denti. Poi parte il giro dei giocatori con la Coppa del Campionato. Ecco, ora invadono. Niente affatto, i “ragazzi” vanno fin sotto, pacche e strette di mano, saltarelli tutti insieme. Passano i “ragazzi” sotto di noi, a due passi, a parlarci, a salutarci e così via lungo tutti i bordicampo dello Stadium.

La grande bellezza del pomeriggio di festa non sono state le api che al seguito della regina in trasferta ed in transito dall’impianto juventino, hanno deliziato il settore Family costringendo la gente ad uno sventolio di bandiere una volta tanto non per un gol della Joya, ma per incolumità personale. La grande bellezza è stata la cornice di uno stadio esaurito, con una squadra che salutava i propri tifosi con la serenità dei forti, contorniata dal loro amore. Come succede in Inghilterra, in Spagna, in Francia, in Europa insomma. In quell’Europa che la Juve si appresta a cercare di fare sua, che i suoi tifosi hanno dimostrato di avere già conquistato. E largamente meritato. Anche per questi particolari, apparentemente marginali, può essere la volta buona. Ma non lo si dica troppo in giro.

Immagine interna tratta da   www.lastampa.it   e   foto dell’autore in copertina

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