Juve, lo scudetto è (ancora) tuo: fenomenologia di 6 anni encomiabili

Dove la storia oltrepassa i propri limiti, scende in campo la leggenda. Dove gli uomini cessano di comportarsi da tali, sopraggiungono gli eroi. Calcistici – certo – ma pur sempre eroi. Dalla Serie B all’apice incontestato e incontestabile dell’Italia intera. Dal terribile inferno di un mondo opprimente e ristretto (che non poteva appartenere ad una squadra del genere) fino al nono cielo del Paradiso. Per il decimo – e ultimo – ci sarà tempo: a buon intenditor, poche parole.

La Juventus di Allegri, battendo per 3-0 il Crotone, conquista matematicamente il suo sesto scudetto consecutivo (nonché 33° in assoluto), al termine dell’ennesima cavalcata incontrastata, durante la quale si sono viste – più che mai – le differenze con le inseguitrici. Vista la naturalezza nel vincere e la forza totale della squadra, l’impresa compiuta potrebbe addirittura sembrare una cosa normale, ma vincere la bellezza di 6 campionati di fila è una roba più unica che rara. Non a caso, nessuno ci era mai riuscito prima in Italia, così come in Inghilterra, Spagna e Germania. L’imponenza dell’organico e dell’organizzazione bianconeri non devono ingannare: stavolta – più delle (tante) altre – si è scritta la storia. E a caratteri cubitali.

Ma dove affonda le radici cotanta facilità nel sbaragliare la concorrenza avversaria? Tracciamo insieme la fenomenologia di questo esaltante (e – con ogni probabilità – irripetibile) ciclo a tinte bianconere.

L’ORGANIZZAZIONE SOCIETARIA

Bisogna obbligatoriamente partire da qui: per costruire un meraviglioso palazzo, le fondamenta solide sono assolutamente indispensabili. E cosa c’è di più solido dell’acutezza di Marotta, delle geometrie di Paratici, della classe di Nedved e della preparazione a tutto tondo di Andrea Agnelli, bravo a (ri)portare il marchio di famiglia nella squadra. Zio Gianni ce lo immaginiamo entusiasta: sorriso sincero, occhi lucidi e tanta voglia di esternare l’enorme gioia custodita all’interno del corpo.

Andrea è stato sempre vicino ai calciatori, proprio come un tifoso. Anzi, il primo vero tifoso: la differenza sta anche qui, nel coinvolgimento emotivo che soltanto una famiglia gloriosa come quella degli Agnelli può donare alla Juve.

La (nuova) costruzione del gigante bianconero è partita da lontano, sin dalla prima stagione – se vogliamo, fallimentare – in cui Delneri non ottenne niente di meglio che un settimo posto. La squadra sembrava non all’altezza, i tifosi mugugnavano come non mai: Juve troppo spesso in basso per poter appagare la gente. E allora, colpo di genio: stadio nuovo – bellissimo – capace di far sentire ogni juventino a casa sua, in cui calciatori e tifosi hanno la stessa importanza. Un gioiellino di rara bellezza, vero dodicesimo uomo in campo e fortino indiscusso delle fortune bianconere, nonché incredibile fonte di ricavi per una società che adesso fattura come una superpotenza europea.

Una società che ha saputo dare fiducia a giocatori creduti bolliti: Pirlo e Barzagli su tutti, ma anche Evra, Mandzukic e – ultimo ma non meno importante – Dani Alves. Una società anni luce avanti, che pare essere sempre più l’unica protagonista del calcio del Bel Paese.

LA FAME INSAZIABILE

Migliore amica dei sei anni di vittorie è – sicuramente – la voglia di spingersi oltre, non lesinando mai nulla. Chiamatela fame, chiamatela insoddisfazione cronica, chiamatela brama di migliorarsi sempre e comunque: raramente si è vista una resistenza emotiva così forte in una squadra di calcio. Ma questa è più di una squadra: lo si vede negli occhi da tigre di Bonucci, che se sbaglia si odia e se non è perfetto si odia ancora di più. Lo si vede nella senBonuccisazione di sana e realistica tranquillità che ogni tifoso provava dopo una sconfitta: “Oggi è andata così, ma domenica prossima li facciamo tutti a brandelli.”. Ed è andata praticamente sempre in questo modo (basti vedere l’ultima reazione dopo la sconfitta contro la Roma…), un po’ come recita il terzo principio della dinamica: ad ogni forza ne corrisponde un’altra di intensità uguale e contraria. Più chiaro di così…

LA FORZA DELLE IDEE

Idee portate – nei due sotto-cicli di tre anni – dai due allenatori, Conte e Allegri. Diversi praticamente in tutto, meno che nel risultato ottenuto. Conte aveva il difficile compito di rialzare una squadra precipitata in un baratro senza precedenti, mentre Allegri ha dovuto raccogliere il (fantastico) lavoro del tecnico leccese, procedendo in punta di piedi, con la paura di ferire un animale laconico, curvo su se stesso, perché tradito e intristito. Ma Allegri, con la forza delle sue idee, è andato ben oltre le più rosee aspettative.

Conte era (ed è) un fiero, un orgoglioso, suscettibile su determinati argomenti, meticoloso e spesso veggente con i cambi. Ma parlare di veggenza significherebbe fargli un torto: la verità è che sa leggere le partite come pochi altri al mondo. Sono stati tre anni trionfali tra le mura del Bel Paese, con 3 scudetti consecutivi e 2 trionfi in Supercoppa; l’unica pecca è il non essersi tolto delle soddisfazioni in Europa.

La forza della fame, però, sta proprio in questo: nel volersi migliorare sempre, a prescindere da tutto. Allegri è stato scelto con una missione ben precisa: confermare quanto già fatto da Conte, ma prendersi anche il resto. Risultato? Due finali di Champions in tre anni, con una maturità europea raggiunta passo dopo passo e della quale si è avuta la più grande certezza – paradossalmente – la sera della sconfitta di Monaco di Baviera. Allegri è probabilmente più umile, meno spaccone, molto più diplomatico e tollerante, sempre rispettoso degli altri e acceso sostenitore del “chi è causa del suo mal pianga se stesso.”. Due modi diversi di fare calcio, di fare Juve, di vincere. Ma il leitmotiv, alla fine, è sempre lo stesso: la vittoria.

CHIAMATECI PURE FEDELISSIMI

Tra i tantissimi campioni d’Italia di questi sei anni (di alcuni, probabilmente, molti nemmeno si ricordano), è rimasto un piccolo gruppetto di calciatori che hanno portato sulle loro spalle il più puro concetto di juventinità.

Pensate a capitan Buffon, che si diverte ancora come un ragazzino, vola come nei primi anni di carriera e insegue l’ultimo trofeo che ancora gli manca.

Pensate a Bonucci, arrivato dal Bari come uno dei tanti giovani promettenti e che – grazie a Conte e Allegri – ha fatto passi da gigante, diventando uno dei migliori difensori del mondo (se non il migliore, come sentenziato dal Telegraph). L’abbiamo detto prima: nei suoi occhi perennemente concentrati, quasi cattivi, c’è tutto ciò che ha portato la Juventus a stravincere dappertutto.

Pensate a Barzagli e Chiellini, due “vecchietti” che non hanno mai smesso di mettersi in gioco; scelti come condottieri dal primo Conte, sono a poco a poco diventati un tutt’uno (anche con Bonucci), dando vita ad un muro – la BBC – che a confronto quello progettato da Trump è una semplice parete di appartamento.

Pensate a Lichtsteiner, che è un giocatore storico: suo, infatti, il primo gol ufficiale nella nuova casa bianconera (nel 4-1 contro il Parma). Quest’estate sembrava dovesse partire, poi è stato escluso dalla lista UEFA, ma si è umilmente rimesso a disposizione della causa, offrendo il solito contributo di “stantuffo” sulla fascia destra.

E pensate, infine, a Claudio Marchisio, il Principino bianconero designato da chiunque come futura bandiera della Juventus. Tanto vagare per il campo (fece persino l’esterno a sinistra nel 4-4-2…) prima dell’arrivo di Conte, che lo trasforma in mezzala eccezionale nell’inserimento e, pian piano, lo fa studiare da vice-Pirlo. Adesso, più che mai, Marchisio è un centrocampista completo, più forte anche dell’infortunio al ginocchio che lo ha tenuto lontano dai campi per tanti, troppi mesi.

L’IMPORTANZA DELLA DIFESA

Si dice che chi ha una difesa forte ha più possibilità di vincere. E no, non è una frase buttata lì per caso. Tempo fa, infatti, uno studio ha dimostrato che per ogni rete subita nell’arco di un campionato, la percentuale di successo finale diminuisce a poco a poco. Lo sa bene Conte, lo sa forse meglio Allegri, completamente “fissati” con la fase difensiva: guai a prendere un gol, anche se ci si trova al 90′ e in vantaggio di cinque reti. L’atteggiamento architettato dai due tecnici ha portato ogni calciatore della Juventus ad esser prima difensore che altro: ed ecco vedere Pepe fare il terzino, Vidal il centrale, Dybala il centometrista che viene a recuperare palla nella propria area, Mandzukic che “bullizza” ogni avversario che si permette di voler far sua la sfera.

IN GRUPPO È PIÙ BELLO

Lo ripetono da sempre i calciatori della Juve: c’è qualcosa di magico a Vinovo, che li rende tutti amici. Certo, c’è quello con cui ci esci un po’ di più la sera e quello con cui ti limiti allo scherzo durante l’allenamento, ma la sensazione diffusa – da anni – è che la Juventus sia davvero una grande famiglia. Atmosfera creata alla grande dagli allenatori, ma anche da uomini spogliatoio, tra i quali due vengono in mente prima di ogni altro: Pepe e Padoin. È per gente così che si sorride al momento giusto, non ci si deprime se i risultati non arrivano e si affronta tutto con maggiore serenità.

Oggi, come in tantissime altre occasioni, è più bello essere bianconeri.

Angelo G. Abbruzzese

 

Impostazioni privacy