Gli occhi di Dani

Come sono diversi gli occhi di stasera da quelli di Genova. Erano pieni di rabbia, allora: guardano la vetta, adesso. Sono diversi, irrimediabilmente diversi: piovevano fame di rivalsa, ieri. Splendono di soddisfazione, questa sera.

Quel pomeriggio lì…

Quel pomeriggio maledetto aveva il sapore amaro del naufragio: per la Juve, prima di tutto, e pure per Dani Alves. Un infortunio che lo aveva piegato, mentre i bianconeri stentavano a riconoscersi – troppo brutti per essere veri.

Un infortunio, viscido e infame, che voleva trascinarlo giù. Mentre lui, Dani, provava a risalire la china delle critiche – spesso fondate. Ecco perché i suoi occhi, al Ferraris, bruciavano voglia di spaccare tutto.

“Tornerò come sempre, vivendo il mio mestiere con l’impegno che mi ha portato a realizzare una carriera lunga e piena di successi”, aveva scritto su Instagram. Non solo una promessa: ma una certezza.

Dani, da fuoriclasse assoluto, ha saputo prendere il dolore e l’ha trasformato in ossigeno per affrontare la salita. Non gli ha mai fatto paura, no: è sempre stata una dose di adrenalina, un motivo per sentirsi vivo.

La relatività del tempo

Ha ascoltato, lasciato scorrere il tempo, poi è tornato. Per lui quei mesi sono passati velocissimi, al ritmo dei battiti del suo cuore. C’è che per qualcuno le ore sono solo un ostacolo sulla via del successo: è questo il caso.

La stagione di Dani Alves, da quel pomeriggio, è andata in crescendo. Lentamente, ma inesorabilmente: senza soluzione di continuità. Da Crotone, sottotono, a Oporto, a Barcellona, a Monaco: quand’era più importante lui c’è stato.

Ha cambiato il destino di Porto-Juve, insieme a Pjaca. È tornato a casa sua, al Camp Nou, e ha guardato chi l’aveva pensato finito inchinarsi alla Signora. E l’ha presa per mano, Madama, abbattendo il Monaco con tre assist e una rete paranormale.

Ora, dopo un cammino tanto lungo, vede il sogno da vicino. Il suo sguardo è diverso: è che il riflesso lo illumina. Arde, perché è tutto questo che lo mantiene ancora vivo. Anche se le vittorie sono tante, non sono mai abbastanza.

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