La Juve ha risposto, ancora una volta

Certe cose ce l’hai o non ce l’hai. È la natura a scegliere per te: non conta il percorso, non conta il vissuto, non conta quel che vedi davanti ai tuoi occhi. Certe cose ce l’hai e basta: e se ce l’hai, sei una persona fortunata. Perché per quanto tu possa solo desiderarle, non esiste mercato, non c’è bottega, non hai un semplice angolo di questa Terra in cui il mondo (o chi per esso) metta in vetrina le sue migliori mercanzie.

Certe cose ce l’hai, quindi, e ce l’hai senz’appello. Tipo il carattere, no? Che dà, toglie e ridà. Il volto di Bonucci, del resto, è una roba che si fa fatica a dimenticare: lo sguardo corrucciato ha preso l’invidiato posto della grinta, dell’amore, del carisma con cui ha sempre guidato la retroguardia bianconera. L’ha fatto senza chiedere il permesso, costringendo il centrale a due ore di pensieri, dita in bocca, tensione. Leo non ha esultato sull’esplosione di Pjaca, ma ha alzato voce e mani sul gol di Dani e al fischio finale. Una liberazione, soprattutto per lui.

PRESENTI

E quel braccio al cielo, quello sguardo fiero, quel sentirsi nuovamente parte di un collettivo così luminoso, in fondo ha saputo chiudere il cerchio delle polemiche meglio di tutto, meglio di tutti. Si spegne con il fischio finale del ‘Do Dragao’, la spia rossa dei problemi. E tutto sommato, la sensazione è positiva: per quanto penato, per quanto stretti attorno all’alone di pressante preoccupazione, nulla è stato realmente intaccato da questo ‘grande gelo’ mai stato così caldo. Bonucci ha chiesto scusa: Allegri ha confermato, e pure messo una pietra sopra. Insomma, non c’è motivo per cui valga la pena continuare a parlarne. Non fa bene a nessuno, tantomeno all’ambiente.

Che adesso è frizzante, elettrizzato da una notte in cui tutto è andato come professavano i sogni bianconeri e gli incubi lusitani. Chissà come sarebbe finita con Telles in campo: la realtà è che francamente interessa poco a tutti, soprattutto ai dirigenti. I primi, in ordine cronologico e d’importanza, a dare la vera risposta di cui necessitava tutta la squadra: non un banale “chi sbaglia, paga”, bensì un più profondo “tutti uniti, nonostante tutto”. Differenze, più o meno sottili.

CI PJACA

Il messaggio è stato recepito. Eccome. E il papiro, l’ha srotolato prima di tutti Marko Pjaca: gettato nella mischia coi suoi vent’anni, con la sua tecnica, con la sua crescita esponenziale. È lui a dare la seconda risposta, è lui ad aprire e chiudere contemporaneamente i giochi ad Oporto: lo fa di destro, tra l’altro. E di potenza, senza quasi la classe che lo contraddistingue. Sembrava smaliziato, e forse lo era. Sembrava fortissimo, e certamente lo è. Tocca crescere, tra spine di grano ed esempi viventi: ma quella che sembrava una piccola strada di campagna, ben presto si è trasformata nell’A1 direzione olimpo del calcio. Ha i colpi da fuoriclasse, ora anche il sorriso per affrontare il meglio tutto il lavoro che verrà. Che è tanto, tantissimo: però quanto necessario per sfrecciare così, per sempre così.

DA ADESSO IN POI

È come se la partita con il Porto avesse poi stravolto tutto. La paura iniziale, l’espulsione, il lento progredire verso la vittoria: ogni cosa accaduta è stata appena sfiorata dal fato costruito dai bianconeri. Ché quand’è serata, non c’è niente che realmente sappia tenere a freno questa squadra: anche per questo, un rimpallo e un destro secco bastano e avanzano per cantare vittoria.

Da quell’istante, il ritmo dei lusitani si colorava degli assalti bianconeri. Assillanti in certi frangenti, più conservatori in altri. Il colpo di Dani Alves ha infine sciolto dubbi e tensione: la Juve ha quasi due piedi ai quarti di finale. E ha ritrovato una certezza, un giovane campione ed un fuoriclasse dal palmarés infinito. La terza risposta sta tutta qui, e se non l’avete capita, lasciateci essere espliciti: non ci sono mezze misure, per questa squadra. Né orizzonti troppo lontani. Occorre avere carattere, fame e determinazione: ma certe cose ce l’hai o non ce l’hai. Come la consapevolezza di sé: il vero step da superare per diventare immensi. Forse l’ultimo. Di sicuro, il più importante.

Cristiano Corbo

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