A tutto Dybala: “Sesto scudetto da leggenda, ma meglio la Champions. Siamo a quel livello. A casa guardo sempre calcio: la mia fidanzata non ne può più”

Sempre più leader dei bianconeri, anche se si è sbloccato solo a Zagabria: Paulo Dybala è diventato il fare dell’attacco bianconero, il vero regista avanzato della squadra. Da Palermo a Torino, il salto di qualità della Joya è stato incredibile. Nel suo primo anno in bianconero, ha segnato 22 gol e ha vinto Scudetto e Coppa Italia. Ora l’obiettivo è migliorarsi, pensando alla Champions. Paulo ha parlato di tutto questo a “La Stampa”, rilasciando un’intervista molto lunga in cui si è raccontato anche fuori dal campo.

OBIETTIVI E GOL

“Ogni anno che passa mi do nuovi obiettivi: stavolta vorrei arrivare alla finale di Champions e fare un gol in più della scorsa stagione». È a segnare a Zagabria: quanta fame aveva? «Si dice che noi attaccanti viviamo di gol, e un po’ è vero, ogni partita che passava diventava più dura: ma io stavo tranquillo, anche perché mi dicevo che non stavo giocando così male. Prima o poi il gol sarebbe arrivato». L’istinto del killer, disse Allegri: resta sempre così calmo? «I miei compagni si accorgono quando sono arrabbiato, ma in genere sono uno che si tiene le cose dentro: per dire, non ho mental coach, che non mi piacciono». Vox populi: Dybala gioca più lontano dalla porta. Vero? «No, e il mister non me l’ha mai chiesto. Piuttosto, gli avversari mi hanno concesso meno tiri: dopo il primo anno si sono accorti di me e ho i difensori più vicini». Adesso che ruolo ha? «Tra l’Argentina e il Palermo ne ho cambiati tanti: prima punta, trequartista, seconda punta. Che è poi è come mi vede Allegri: e io mi trovo bene». Higuain ha detto che la vorrebbe più vicino: lei che idee ha? «Gli ho risposto che ha ragione, ma a Zagabria, vedendo la partita da dentro al campo, sentivo che vicino a lui non avevo spazio: e ci avrebbero marcato con la sigaretta in bocca. Cercavo di aprirmi per rientrare, girare il gioco o mettere una palla gol». A Napoli Higuain era un gran brontolone, in campo: qui? «L’anno scorso, erano le prime partite, una volta alzai le braccia per lamentarmi con un compagno per una scelta,  un passaggio. Poi, arrivai nello spogliatoio e mi dissero: “Qui non si fa”. Forse l’hanno detto anche a lui».

Furono i giocatori o Allegri? «La società».

LA SQUADRA

Siete più forti dell’anno scorso? «Se si guardassero solo le squadre e non si giocasse il campionato, sì. Il problema è che lo dobbiamo dimostrare: e non basta che abbiamo tanti giocatori forti, tecnicamente e fisica-mente, ma ci vuole determinazione e fatica.» Con Higuain-Dybala non sarà più facile segnare alle piccole? «Sarebbe difficile anche se ci fosse Messi: qui in Italia gli metterebbero uno o due uomini addosso». Da Neymar-Suarez-Messi alla BBC del Real, dove sta l’attacco della Juve? «Difficile dirlo, ma in Europa possiamo fare molto male anche noi, a qualsiasi avversario. Con Gonzalo (Higuain), Mario (Mandzukic), Pjaca, un grandissimo giocatore». Perché Pjaca ha colpito tutti? «Perché è davvero forte. Per la velocità e la facilità con cui salta l’uomo, un po’ come fa Cuadrado. E per l’età, ha un grande fisico».

IL TIRO A GIRO

Da dove nasce il suo tiro a giro? «Quando ero piccolo mi basavo quasi sempre sulla potenza, poi ho iniziato a cercare altre strade per trovare l’angolino giusto quando ero un po’ più chiuso». 

La scintilla fu un allenatore? «No. Sono uno che ha sempre amato restare a tirare dopo l’allenamento. Mi piace imparare cose nuove, dentro e fuori dal campo. Qui parlo italiano, a casa spagnolo, e allora mi sono messo a studiare inglese. O la chitarra, da autodidatta, ma solo per rilassarmi: meglio non suonare in pubblico».

VITA PRIVATA

Quando non si allena che fa? «Guardo tanto calcio, dai campionati esteri alla serie B. Non è che torno a casa e guardo un film». Rivede anche le sue partite? Sempre.  «Me le registro, poi le riguardo: da solo». Perché? «Voglio imparare dai miei errori. E, ogni tanto, mi arrabbio». Gioca sempre d’istinto? «Quando ti arriva la palla veloce, devi. Altre volte, mentre il pallone gira, sembra che io cammini, ma in realtà mi sto guardando intorno, pensando alla giocata da fare».

Full immersion di calcio: la sua fidanzata Antonella che dice? (sorriso). «Non ce la fa più. Mia mamma Alicia, che in casa ha avuto tre figli maschi e mio papà, un giorno le ha detto: “Mi sa che ti devi abituare”».

E lei cosa le dice? «Che il calcio è quello che ci dà da mangiare. Scherzi a parte, penso sia la ragazza della mia vita. Siamo andati a vivere insieme, in centro. Era il momento: o ciascuno per la sua strada o proviamo. Stiamo benissimo».

Senza un pallone nei dintorni cosa le piace di Torino? «Camminare la sera, per le piazze. E mi trovo bene con le persone che ci abitano, sempre gentili e mai invadenti». Che effetto fanno 3 milioni di follower su Instagram? «Bello. Leggo quel che scrivono i tifosi e a volte rispondo, anche su Facebook: se sono così conosciuto è grazie a loro».

SCUDETTO O CHAMPIONS?

Si immagini se vincerete ancora: lei a cosa punta? «Il sesto scudetto farebbe entrare la Juve nella Dybalaleggenda, però la Champions ha un significato più grande del campionato. Ma come noi, la vogliono Barcellona, Bayern, Real».

Siete a quel livello? «Secondo me, sì. Anche l’anno scorso lo eravamo: se a Monaco l’arbitro avesse fischiato 30 secondi prima la fine, la Juve sarebbe stata la candidata numero uno alla Champions». Come l’ha cambiata un anno di Juve? «Sono un po’ più punto di riferimento di questa squadra e sento anche più responsabilità».

Il Napoli gioca meglio di voi? «Sta giocando bene, sì. Si trovano a memoria, perché non hanno cambiato tanto».

Cosa ha portato Dani Alves? «La mentalità perfetta: meglio fare un metro in avanti che cinquanta indietro. Anche perché abbiamo una difesa che può permettersi l’uno contro uno». Si può vincere facendo un gol più degli altri? «La Juve arriva con una mentalità che c’è da tanto tempo e a volte è difficile cambiare».

Lei che ne pensa? «Che se difendi a 70 metri dalla tua porta hai meno possibilità di prendere gol e più di farne, se recuperi palla». Quel che dice Guardiola. «Anche Allegri».

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