Andrea, sei anni dopo: perché non esistono cicli vincenti senza solide scrivanie

Chi l’avrebbe detto: sei anni dopo, cinque scudetti. E sei anni dopo, la sensazione – sì, storicamente usuale, ma non per questo scontata – di essere al top da qualsiasi punto di vista. Sei anni dopo, solo sei anni dopo: perché in un progetto decennale, la meravigliosa opera della Juventus è soprattutto quella di aver bruciato le tappe senza per questo scottarsi.

Il 28 aprile del 2010 John Elkann prendeva una storica decisione: via chi è risorto, ma dentro la tradizione, la famiglia, la garanzia di successo. Via le tante parole, la paura di non essere abbastanza, ma dentro la progettazione e l’efficacia manageriale di chi sa unire il cuore agli altri mille aspetti fondamentali per gestire un’azienda. Che in fondo, tutto ritorna lì: bastasse la passione, a quest’ora ci sarebbero più Leicester e meno Bayern Monaco.

andrea agnelli luciano moggi

Nel mezzo, ecco la Juve, la Juve di Andrea. Tornato sui passi della giovinezza, di quando accompagnava papà e zio agli allenamenti, di quella Juve solo da respirare per sentirsi al centro di un disegno più grande. Non un giocattolo, non un hobby, ma una reliquia da idolatrare e trattare coi guanti. Tra i mille insegnamenti impartitigli, Agnelli jr ha saputo far suo soprattutto questo: non c’è vittoria senza una solida scrivania alle spalle. Non c’è la Vecchia Signora, senza un uomo che se ne prenda davvero cura, e che lo faccia sotto ogni aspetto.

La rivoluzione di Andrea Agnelli? Un semplice ritorno al passato, quindi alla vittoria. Serviva una sterzata all’indietro: il presidente ha tirato il freno a mano ed inserito una retromarcia speciale. Perché tornando indietro è difatti andato avanti, dritto e senza timori, per una strada ricca di successi. Perché tornando indietro, ha modificato il passato e riscritto il presente. E dopo appena sei anni, ha già visto la sua creatura figliare tanti momenti indimenticabili.

CriCo

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