Il capriccio di una Champions privata? No grazie. Le emozioni del calcio non si comprano

 

L’idea tutta british di creare una competizione privata, in cui soltanto la creme de la creme del calcio europeo (etichettato in tal modo in virtù di una mera nonché squallida disponibilità economica) potrà prenderne parte appare, per quanto trapelato ad oggi, quasi una mascalzonata per giunta architettata come se si trattasse di un affare losco, da tenere il più possibile nascosto agli occhi indiscreti di chi ben presto potrebbe vedersi sbattere la porta in faccia senza possibilità alcuna di suonare il campanello per chiedere spiegazioni.

Incontri segreti svolti in lussuose suite d’albergo e protagonisti della vicenda paparazzati più che fotografati, precisione dovuta a testimoniare e sottolineare l’enorme torto che Oltremanica starebbe per nascere, come se si stesse generando un piccolo mostro ad insaputa del genere umano, che presto provvederà ad eliminarlo dalla faccia della terra. Sembra il trailer di un film di cospirazione del resto, ma in realtà ciò che sta accadendo sembra avere tutte le carte in regola per promuovere uno smacco etico e morale non indifferente.

Analizzando concretamente i dati, infatti, club inglesi dalle ingenti risorse economiche quali il Manchester United, i cugini del City, il Chelsea, il Liverpool e l’Arsenal (i Gunners tuttavia sembrerebbe che abbiano risposto picche nelle ultime ore) starebbero provando ad istituire una sorta di Champions privata manco fosse il privé di un locale notturno. Solo che i caratteri di un salottino riservato con tanto di tendine rosso prugna li ha eccome, se non altro per la discutibile formula grazie alla quale alcune compagini scelte a tavolino potranno godere del diritto di svolgere questa competizione che correrà parallelamente (secondo quanto riportato dall’Ansa) all’attuale Champions League. Al netto del discutibile criterio, inoltre, risulta peraltro attaccabile l’idea di estendere gli “inviti” (proprio come si fa ad una festa esclusiva in cui la plebe non dispone dell’autorizzazione per prenderne parte) soltanto a tre privilegiati club del continente, ovvero Barcellona, Real Madrid e Bayern Monaco. Insomma, una specie di spartito deciso davanti ad un brandy d’occasione e organizzato dal proprietario dei Miami Dolphins, una franchigia NFL, Stephen Ross. Soldi per fare soldi dunque, perchè questo sembra essere l’obiettivo principale travestito da competizione sportiva.

Non che farli, poi, rappresenti un peccato, anzi. Il punto, però, è che istituire un business sfruttando il nome dei più forti (reputati come tali non certo in base a meriti sportivi, se guardiamo al palmares di alcune delle suddette compagini), andrebbe non soltanto a ledere l’attuale competizione più bella per squadre di club a causa della concomitanza pressoché insostenibile (qualora venisse confermata l’dea), ma anche perchè qualcosa del genere è stato già proposto in passato, al netto di un fascino che mettere a paragone con tale proposta risulterebbe quantomeno blasfemo. Questo passato porta il nome storico della Coppa dei Campioni, chiamata tuttora così anche dal Francesco Repice, re delle voci del calcio alla radio, dove il prestigioso accesso veniva consentito solo alle squadre vincitrici dei loro campionati di appartenenza, motivo per cui le varie nazioni europee subivano l’ “obbligo” di venire rappresentate da uno solo dei loro club. La differenza, sostanziale, fra la vecchia formula del torneo e l’idea abbozzata in queste ultime ore riguarda proprio la conquista ottenuta sul campo e per meriti sportivi alla competizione, e non a tavolino. Anche perchè, fra l’altro, la presenza massiccia di squadre inglesi (5 su 8 per quelli che sono i nomi trapelati al momento) impone uno squilibrio relativo al sacrosanto principio di equa distribuzione della rappresentanza fra le nazioni importante. Ma, in realtà, quest’ultimo punto non sembrerebbe interessi granché nell’intento di comporre una Champions privata. Del resto nel proprio privato ognuno è libero di fare ciò che meglio crede. Ecco perchè questa bizzarra idea assume sempre più i contorni di un capriccio dettato dai club, con la collaborazione di un miliardario americano che, con il dovuto rispetto, del romanticismo e della bellezza generata dalla competizione giocata fra quelle che erano le regine dei campionati annesse a contendersi il titolo di regina d’Europa, magari, ne saprà poco o forse nulla.

A questo punto risulterebbe ancora meglio ai fini della competizione sportiva e del fascino che soltanto i cieli e le notti europee sanno trasmettere, rispolverare la vecchia Coppa delle Coppe (giocata fra le vincitrici delle coppe nazionali ed impegnate in 4 turni a eliminazione diretta prima della finale) oltre alla vecchia formula della Coppa Uefa, istituendo cosi il vecchio trittico delle maggiori competizioni europee di sempre. Qualificazioni ottenute sul campo, in base alle competizioni nazionali vinte ed ai piazzamenti, oltre che in virtù della difesa del titolo stesso europeo conquistato l’anno precedente, ecco la formula concreta e veramente affascinante per tornare a respirare la bellezza e la magia delle competizioni europee suddivise per importanza. Fra l’altro, tornare ad istituire la Coppa delle Coppe potrebbe sicuramente rappresentare un valido escamotage (considerata la tristezza del bisogno che oggi c’è) per rendere intriganti come un tempo anche le coppe nazionali, in primis quella italiana che ad oggi detiene il fascino di un trofeo estivo giocato con l’intento di dare spazio a tutti e condurre prove tattiche. Non cediamo alle ragioni di business ed alla costruzione artificiale dell’idea di avere il top, così facendo rischieremmo di ottenere solo prodotti sciatti da dare in pasto alle selvagge regole di mercato dettate dalle pay-tv e dal merchandising. E che nel giro di qualche anno non trasmetterebbero più alcuna emozione.

Rocco Crea (@Rocco_Crea)

 

 

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