I cinque piccoli miracoli del Re Taumaturgo da Livorno

Una volta si credeva che i Re potessero compiere dei miracoli, dato che la sovranità era attribuita per diritto divino: almeno fino al XVIII secolo, i sovrani francesi e quelli britannici erano considerati dei “taumaturghi”, ossia in grado di compiere miracolose guarigioni. Le Rivoluzioni di fine ‘700 hanno scardinato le credenze dell’Ancién Regime, ma qualche sospetto in giro per l’Europa a qualcuno è rimasto. Max Allegri da Livorno, di professione allenatore di calcio, magari da piccolo avrà sognato di diventare Re: di certo sta mostrando che, se fosse nato intorno al 1300 in qualche corte di Francia, probabilmente avrebbe potuto cucirsi addosso l’appellativo di “taumaturgo”.

Max non ha compiuto un solo miracolo: ne ha compiuti diversi, piccoli, che messi insieme hanno portato al grande “miracolo” di una incredibile rimonta in campionato e di una quasi acquisita finale di Coppa Italia. Miracoli che passano dal lavoro quotidiano, tra consigli, parole, immagini, movimenti studiati e provati fino alla noia, da lavagne tattiche e tabelle di allenamento personalizzato. Da autostima risvegliata, da sicurezze instillate in seguito alle prime difficoltà, da panchine e sostituzioni mirate per scatenare l’orgoglio dormiente. Qualche esempio?

ALVARO MORATA. Il solito infortunio ne ha inaugurato la stagione: poi le difficoltà al rientro, il tridente che non lo esaltava, i tanti gol sbagliati (maledettissima notte di Siviglia…), le sostituzioni a capo chino. Poi un lento risveglio, qualche gol, ma soprattutto la sensazione costante di essere sempre “dentro” al gruppo: quando è entrato col Bayern Monaco ha mostrato la giusta cattiveria, ed è stato determinante. Allegri sta lavorando per correggerne l’eccessiva tendenza ad allargarsi soprattutto a sinistra, quando invece una prima punta dovrebbe puntare con decisione l’area di rigore in verticale: ma qui il miracolo è soprattutto mentale, perché il tecnico sa che disperdere un talento del genere sarebbe un delitto.

JUAN CUADRADO. Scheggia impazzita, non difende, nel 3-5-2 può giocare soltanto se c’è Evra dall’altro lato, se non è in giornata è inutile. Luoghi comuni forse veritieri fino a qualche mese fa: il Cuadrado di oggi è un altro giocatore. Perché se pure non ha lo spunto decisivo, è in grado di difendere, lottare, allinearsi ai 3 in difesa, raddoppiare in aiuto dei compagni. Poi lo spunto decisivo lo sta piazzando, eccome se lo sta piazzando: bravo lui che si sta applicando, ma qualcuno deve pur averlo “istruito”…

PAUL POGBA. Bella forza, direte voi: stiamo parlando di un fenomeno. Sì, ma di un fenomeno che si era sobbarcato le sorti della Juventus a inizio stagione, e ne stava rimanendo schiacciato. Poi sono rientrati Khedira e Marchisio, lui ha capito che è un ragazzo di 23 anni con tanta classe e una forza sovrumana, e deve soltanto giocare al calcio. Risultato? Nel primo tempo dell’assedio a Forte Apache del Bayern, era l’unico in grado di guardare il nemico negli occhi e sfidarlo. “Non metterti a fare la guerra, gioca”: è il suggerimento che gli arriva spesso dalla panchina. Appunto, dalla panchina.

PAULO DYBALA. Altra bella forza, continuerete a dire: già, ma chi ha avuto l’idea di arretrarne il raggio d’azione, trasformandolo in una eccezionale seconda punta di raccordo? Fuori il nome…

HERNANES. Qui il miracolo potrebbe essere da 100 punti, per parafrasare Massimo Troisi. Ancora da compiere, ma le premesse ci sono: Allegri ha “deciso” che Hernanes deve tornare agli inizi di carriera, ossia a fare il regista davanti alla difesa. Troppo lento per fare il trequartista, arretrando di qualche metro potrà ritagliarsi molti altri anni di calcio ad alti livelli. La personalità e la classe mostrate nel secondo tempo col Bayern stanno lì a dimostrarlo: il brasiliano ha giocato altre tre volte in questa posizione, a Napoli (andò male) e contro City e Samp (andò benissimo). Lo score è ampiamente positivo: vuoi vedere che il livornese ha avuto ancora una volta ragione?

Gennaro Acunzo

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