Mario, l’uomo ed il soldato: Mandzukic alza la testa e rialza la Juve

Quanto conta, adesso, la paura. Ma quant’ha contato non averne, poi. È che certe cose, Mario Mandzukic, proprio non sa tollerarle. Dipendesse da lui, a quest’ora sarebbe ancora lì a sputare sangue, a fare a gara con chi gli pare per dimostrare un concetto abbastanza elementare: non sono le regole a fare il gioco, ma è il gioco a determinare il resto. Semmai, è proprio lui a dettar legge: in un modo soltanto, mai nell’altro. Sempre il suo.

Qualcosa è di sicuro arrivato, qualcos’altro s’è intuito: quel ch’è certo è che Pep Guardiola torna in Baviera con un messaggio marchiato col fuoco del lottatore croato. No, non gliel’ha perdonato: non la scelta, sia chiaro. Ma il gesto, il modo, il non affrontarsi. Un pomeriggio di maggio, l’infame freddezza di una porta sbattuta senza una concreta motivazione: subito, agli ordini. Perché poi, i veri uomini, sanno cogliere le sfumature ancor prima dei colori.

DI VOGLIA – Ci sono paure che ti tremano contro, altre invece fanno a sberle con l’orgoglio senz’avere mai la meglio. Del resto, Mario Mandzukic è abituato a vedere il mondo come un ‘utascia‘: uno di quei soldati di ventura, equipaggiati alla meglio, andati in guerra nel ’91 senza una vera possibilità di vittoria. Finirono per rivoluzionarla, la Croazia. Per darle l’indipendenza, per affrancarla da un guscio che stava stretto quanto l’etichetta di ‘finito’ irrita ancora oggi Mario. Certo, ci è voluto del tempo: ne richiede ogni impresa. E pure allo Stadium, la magia s’è fatta attendere. Salvo quindi cadere a mo’ di polvere di stelle, a mo’ di regalo dal cielo, a mo’ di premio per non essersi buttati nelle braccia di un’inconcludenza che avrebbe avuto pure la sua parte di ragione. È bastato alzare la testa, è servito scatenare Mandzukic.

DI SPONDA – Quel tocco dentro così dolce per Dybala diventa allora emblematico: spiega come può cambiare il mondo in un solo istante. Come può anche il più rude dei bomber diventare portatore di tecnica purissima. La Joya fa il resto, e poi fa tutto: corre, quasi scappa. Va ad abbracciarlo, a suonare la carica. Che crederci è diventato possibile, e il sapore di una notte d’emozioni si fa forte quanto l’urlo e l’abbraccio dello Stadium. Uno-due, ma ancora un po’, ancora s’aspetta: finché Mario allarga, Morata mette dentro e Sturaro corre su quella maledetta sfera che non vuol fermarsi. Eccola, la zampata: quanto conta, adesso, la paura. Zero. Di sicuro, meno del terrore sui volti rossi.

DI TESTA – Rossi davvero: di rabbia, di frustrazione, d’ansia. Capovolge tutto, anche la speranza: perché fra tutte le debolezze, la più bastarda è il timore di apparire deboli. La Juve alza baricentro e carattere, i bavaresi per la prima volta provano i panni stretti di ha qualcosa d’incredibilmente bello a portata di rapina. Nel mezzo: sguardi torvi e testa bassa, interventi al limite e cuore perennemente oltre l’ostacolo. Vidal, meraviglioso gladiatore, spende sé a tener botta; dall’altra parte, un uomo bruto con questa voglia dentro di spaccare tutto e ancor più Guardiola. Tre anni fa lo spagnolo non credette in lui, e lo fece senza dargli una vera chance. Oggi se l’è ritrovato davanti, con il croato finito a sfilare nel tunnel dei suoi incubi peggiori. Sì, c’era anche Lewandowski, terzo incomodo sistemato per le feste: testa a testa poco metaforico, infinitamente significativo. Certe cose, Mario Mandzukic, proprio non sa tollerarle. E quando non sa farlo, c’è solo da rimboccarsi le maniche e seguirlo incondizionatamente. Fino alla fine. O almeno fino alla prossima ‘vendetta’. In arrivo sul treno verso la Germania: quando non s’avrà nulla da perdere, ma tanto per cui lottare. Ah, con un ‘utascia’ in più. Finirà per rivoluzionarla, la Baviera.

Cristiano Corbo

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