Buffon: “Non mi entusiasma fare l’allenatore. In B per voi bambini, per dare un esempio”

Si è tenuta una intervista molto speciale, con protagonista il numero 1 bianconero Gianluigi Buffon. A intervistare il campione bianconero c’erano infatti bambini dai 6 ai 10 anni grazie al progetto JKids. Il portiere juventino si è sottoposto con piacere alle mille domande dei piccoli reporter, che si è lasciato andare anche a qualche rivelazione. Ecco quanto evidenziato da SpazioJ.it:

FUTURO DA ALLENATORE – “Spero quando smetterò di avere le idee un po’ più chiare. Ora dopo 20 anni di carriera l’idea di ricominciare non mi entusiasma. Questo è il lavoro più emozionante del mondo, smettere mi costerà tanto. Per ora ancora non lo so, stiamo a vedere”.

I SEGRETI DEL PORTIERE – “Dove buttarsi prima del tiro di un attaccante un po’ si capisce dalla postura, anche se quelli più forti celano fino in fondo le loro intenzioni. A volte mi viene un po’ voglia di uscire dai pali, ma é un pensiero un po’ pazzo, da grande non lo posso seguire”.

ALTRI SOGNI – “Il mio sogno di riserva era diventare un insegnante di educazione fisica, visto che provengo da una famiglia di sportivi. Allora mi piaceva anche il basket ma col tempo oltre al calcio mi sono avvicinato più al tennis”.

RICORDI – “L’esordio in Serie A e quello con la Nazionale in Russia, ma anche la vittoria della Coppa UEFA col Parma ed il primo scudetto. E tante partite come quelle contro il Real. Poi il Mondiale, la vittoria della Serie B, il primo scudetto dopo la B, quelli recenti e tante altre ancora”.

ERRORI – “Un mio errore non condiziona la prestazione, posso forse risentirne in quella dopo. Quando sbaglio la prima cosa che faccio è mettermi in discussione un po’, e divento più pensieroso. I momenti più difficili, per ogni sportivo, sono quelli in cui non senti dentro di te il fuoco sacro della competizione”.

ESEMPIO – Alla fine, Buffon rivela anche parte della scelta di scendere in B con la Juve: “L’ho fatto perché pensavo a voi bambini e credevo che in certi momenti c’era bisogno di sostituire le parole con i fatti”.

 

Oscar Toson

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