Il day after tuona di sentenze: storia di un Harakiri annunciato

“Il successo è quanto più in alto si rimbalza quando si è toccato il fondo.” L’ex generale statunitense George Smith Patton dà una sua visione molto chiara su ciò che concerne i fallimenti: non conta quanto si sbaglia, l’importante è saper risalire. Eppure, questa Juventus, per l’ennesima volta, pare che di risalire non ne abbia proprio la minima intenzione. La squadra latita in un mare di mediocrità e incertezze. E se in questo mare a guidare la barca c’è qualcuno che non lo ha mai fatto prima ecco che il naufragio è dietro l’angolo.

L’abitudine di stare in alto si è tramutata presto in timore di non poterci tornare. I bianconeri paiono scalatori inesperti a cui serve la corda per non precipitare, perché di tenersi aggrappati da soli proprio non se ne parla. L’impotenza mostrata da questa squadra ha dell’incredibile se si pensa alla caratura e agli obiettivi iniziali prefissati.

Le avvisaglie di un possibile decadimento si celavano da ottobre dietro l’ombra di un mercato privo di certezze e pieno di voglia di ricreare, smantellare e ripartire. Senza conseguenze, si pensava. Perché una squadra che vinceva da nove anni consecutivi pensava di riuscire ad attuare lo step di un ciclo finito senza il contraccolpo che, generalmente, ne consegue.

Che fine ha fatto la Juventus?

Si è fatta la scelta di portare avanti l’idea da esteti, la raffinatezza, tralasciando ciò che da sempre è l’essenza della Vecchia Signora. Si è messo alla porta Allegri per l’allenatore che prima di giungere a Torino aveva dimostrato di saperlo fare il tanto richiesto “bel gioco”. Eppure, una volta varcato il cancello della Continassa ecco che la magia è scomparsa e la Juventus ha continuato a vincere il proprio campionato, ma con le concezioni precedenti. Ma questo non bastava. La richiesta era diventata talmente troppo alta che i tifosi non si accontentavano più di vincere “i soliti scudettini”. Volevano di più.

E il detto “Chi troppo vuole nulla stringe” mai fu più azzeccato. Pirlo ieri sera dopo l’ennesimo fallimento ci ha messo la faccia, per l’ennesima volta. Al contrario di chi brama idee di potere assoluto, lasciando da parte un campionato e una squadra in palese difficoltà. Andrea Agnelli è un uomo ferito. Le ultime settimane sono state provanti per lui come per tutto il mondo Juve. La guerra aperta con la UEFA pare non placarsi, ma la situazione interna deve far sì che sia il primo a prendere decisioni, anche drastiche se necessario. L’esperimento Pirlo è ormai definitivamente fallito anche per la noncuranza di chi pensava che per vincere bastassero soltanto campioni, non capendo le vere esigenze di questa rosa.

Il crollo dei leader

Lo 0-3 di ieri sera è l’ultima estenuante goccia di un vaso già stracolmo e pronto ad implodere. La preoccupazione più grande avviene dal momento in cui coloro i quali dovrebbero trainare la squadra, essere leader in campo e far rigare dritto i più giovani sono i primi a steccare. Cristiano Ronaldo, la freccia più luminosa dell’arco, sembra non voglia più scoccare nulla con questa maglia e il clamoroso approdo in Europa League potrebbe essere per lui la scusante più realistica per lasciare il club. Il capitano, Giorgio Chiellini, sia per una questione anagrafica e sia per una questione fisica, non riesce più a dare le certezze di un tempo e i grossolani errori contro i rossoneri si aggiungono ad una lista che fino a due stagioni fa era praticamente vuota. Gigi Buffon osserva i suoi compagni cadere nell’oblio, rivivendo i fasti della Juventus dei settimi posti. Impotente, anche lui, perché l’età avanza e i cicli finiscono, inesorabilmente.

L’orchestra priva di strumenti

Se a ciò aggiungiamo un totale flop della maggior parte degli acquisti, ecco che “l’orchestra del Maestro” tanto vociferata all’inizio dell’anno risulta priva degli strumenti necessari per comporre qualsiasi tipo di melodia. Alvaro Morata, l’unico vero centravanti di questa squadra (e ciò fa capire le falle di una rosa mal costruita) dà l’impressione di esserci capitato per caso: spaesato, inconcludente, evanescente. Lo spagnolo è l’ombra del giovane rampante che giunse a Torino nell’estate del 2014. Dejan Kulusevski venne acquistato lo scorso gennaio dopo sei mesi a Parma in cui aveva fatto vedere grandi cose. Ora pare essere diventato “il nuovo Bernardeschi” per mancanza di un ruolo fisso a lui più congeniale. Arthur e McKennie tra infortuni e festini privati non stanno rendendo al meglio delle loro possibilità.

Mentre paradossalmente quello che ha reso maggiormente è colui che è stato il più criticato per la cifra spesa e la nomea di sopravvalutato. Federico Chiesa è l’unico a dimostrare enorme attaccamento e voglia di rivalsa necessari per raggiungere un obiettivo tanto scontato all’inizio quanto improbabile ora. E se non si vuole nuovamente cadere da quella parete da cui si sta cercando di salire è da gente come Chiesa che si deve ripartire.

L’incubo è divenuto realtà

Per quanto concerne questa stagione, il destino dei bianconeri non è più nelle proprie mani. Servirà un miracolo sportivo per agguantare i primi quattro posti e staccare sul campo il pass per la Champions League. I bianconeri hanno fatto Harakiri e con la profonda crisi economica dovuta anche alla pandemia una stagione fuori dalla coppa dalle grandi orecchie potrebbe essere la mazzata più dura da digerire.

C’è quantomeno da salvare la faccia e fare il proprio dovere, almeno in queste ultime tre partite di campionato. Lo schiaffo più grande di tutti ricevuto ieri sera non può lasciare indifferenti dei giocatori abituati a vincere. Non può nuovamente non provocare alcuna reazione da parte della società e dell’allenatore stesso. Questa Juventus in balia degli eventi sembra un brutto incubo dal quale si fatica a svegliarsi. Un tormento che con la rete di Tomori è diventato reale agli occhi di tutto il popolo juventino.

Michele Lettieri

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