Non esiste nient’altro che Juventus-Porto, da vivere fino alla fine

Quando risuona quella musichetta speciale a tutti coloro che amano il calcio vengono i brividi. Quella musichetta fa sognare, impazzire, disperare, piangere, esultare come mai nessun altra partita di calcio, Nazionale permettendo. E se il match preso in questione si disputa da febbraio in poi tutto diventa più emozionante perché il pallone pesa il doppio rispetto al resto della stagione, gli errori costano carissimo e tempo di rimediare non ce c’è. Questa è la magia che la Champions League regala ai tifosi ed anche agli stessi giocatori, i quali sanno che il senso di responsabilità è ben più pesante da qualsiasi altra partita in ambito italiano. A maggior ragione se si parla di Juventus, perché quella maledetta Coppa non la si porta a Torino da ben 25 anni e per troppe volte la si è disciolta come se fosse sabbia nelle mani.

Il percorso della Juventus di questa stagione è molto altalenantante: sarà per i numerosi infortuni che infliggono la rosa, sarà per il poco tempo a disposizione che Andrea Pirlo ed i giocatori hanno a disposizione per allenarsi ed amalgamare i concetti di gioco, sarà per mancanza di personalità di alcuni atleti dimostrata in determinate circostanze. O per tanto, molto altro. Il succo del discorso è che la Juventus domani affronterà la partita più importante della stagione. Dentro o fuori. Vivo o morto. Si o no. Non c’è più la via di mezzo, non c’è più il tempo di rimediare agli errori commessi ad Oporto con quell’atteggiamento timido, rinunciatario, pauroso di chi ha timore di fallire ancora una volta la campagna europea bianconera. E sarebbe il terzo anno consecutivo, un po’ troppo per una squadra che ha in rosa un certo Cristiano Ronaldo. Mica pizza e fichi.

Mai come quest’anno, a mio modo di vedere, nella gara di sabato sera contro la Lazio si è vista una Juventus vogliosa di superare le avversità, i limiti, le difficoltà dell’ennesimo inizio di partita disastroso. Il fuoco dentro che ha Federico Chiesa ha trascinato tutti, ma proprio tutti: anche Federico Bernardeschi che ne ha avute molte di prestazioni negative, anche Adrien Rabiot che di certo nel vocabolario dei sinonimi non trova la parola “costanza” affianco al suo nome, anche Merhi Demiral che ha dimostrato di essere un leader nato. “Siamo la Juve!” ha urlato dopo la doppietta di Alvaro Morata. Una carica adrenalinica che ha trasmesso a tutto l’ambiente bianconero e, perché no, magari è risuonata nelle orecchie degli avversari che fino a qualche tempo fa erano intimoriti di ascoltare il solo nome “Juventus“. Ora non è più così perché la Juventus è diventata una squadra come le altre, non ha più la supremazia mentale sulle concorrenti ed è questo il più grande rimpianto di questi ultimi due anni. Ma si sa, tutti i cicli sono destinati a concludersi.

Per una notte però, la Juventus deve tornare ad essere la squadra di qualche stagione fa. Quella squadra che faceva paura a tutti, anche alla paura stessa. Ci vorrà una partita perfetta contro il Porto: senza sbavature, senza quelle distrazioni che già hanno fatto molto male ai bianconeri in questa stagione, senza la frenesia di dover fare tutto e subito. E con la consapevolezza di essere una grande squadra nonostante le mille difficoltà, come si è visto nell’ultima ora di gioco contro la Lazio. Bisogna ripartire da lì. Bisogna ripartire dalla ferocia agonistica di chi sa che non c’è altro risultato se non la vittoria, dall’essere cosciente del peso e dell’importanza della maglia che si indossa.

Ad oggi, non esiste il giorno di mercoledì. Esiste solamente l’Allianz Stadium, martedì sera, con le emozioni indelebili che si proveranno, con la musichetta della Champions League che risuona nelle orecchie di tutti, con l’adrenalina che scorre nelle vene che ti fa sentire più vivo. Non esiste nulla che non sia Juventus-Porto, fino alla fine.

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