E ora chiedete scusa a Gonzalo Higuain

Le vecchie sensazioni. Le vecchie abitudini. I vecchi sorrisi. È stato come tornare a casa dopo un lungo, tremendo viaggio. È stato come mettere dopo tempo la tua maglietta preferita, girare per il tuo quartiere fischiettando e salutando i vicini. È stato tornare se stessi: per un attimo meraviglioso, per un tap in di potenza che ha sbloccato tutto. La partita, i cuori dello Stadium, la fame di un cannibale pronto a ripartire da zero. Pardon: da uno.

QUANTO VALE QUEL GOL

Il muso lungo della panchina resta un’immagine che Gonzalo Higuain non dimenticherà mai. Che non deve dimenticare. Farsi beffa di sé è già tremendo di suo, figuriamoci per uno che ha avuto tutto dalla vita, dal gioco, da sé. Figuriamoci uno che della sua routine si fa forte, di domenica in domenica. E che si può perdere, a discapito dei milioni e del talento, della forma fisica e delle indole naturali che gli concedono perenni super economy sul treno delle marcature. Un po’ di coincidenze ne aveva perse, il Pipita. Oggi ha preso giusto in tempo quella che ha riportato sui binari giusti questa Juve di Champions: ingolfata a lunghi tratti, quindi venuta fuori con qualità. Pure con quella del nove.

Quanto vale quel gol? È la domanda più banale di tutte che merita la risposta più banale di tutte: vale più dei novanta milioni spesi un anno fa, più delle critiche ingenerose e più di quelle costruttive. Più della paura di vederlo al naturale declino del suo spessore, della sua freddezza sotto porta. Della sua materia grigia in fase di sponda. Perché sia chiaro: se per voi il centravanti fa rima solo con gol, allora siete pregati di non definire più Higuain in quel modo.

OLTRE IL GOL

La giocata più bella non è stata lo scarico potente in porta, non è stato nemmeno quel liberarsi dal centrale per poi farsi murare il tiro. È stata una semplice, facile e bellissima azione della Juve: palla centrale dal mediano, Pipa che non ci pensa due volte e allarga sulla sinistra per Alex Sandro. Che lo faccia con un esterno sontuoso è indicativo, non fondamentale. È la velocità della manovra a fare la differenza, è la Juve che si propone e crea superiorità sugli esterni: l’unica alternativa alla vera fonte di gioco, ossia Dybala.

Non sono dettagli, Higuain non può esserlo. Come non sarà mai un problema per questa squadra: un giocatore della sua caratura ha doni e doti, soluzioni e invenzioni. Può solo essere il sale della manovra, l’ancora a cui appigliarsi nei momenti di maggiore difficoltà. Proprio come l’Olympiacos: c’era bisogno di qualcuno che sentisse la porta come pochi, s’è fatto trovare pronto. In una notte stra-importante, per giunta. Altro limite che i soloni gli imputano.

DA ADESSO IN POI

Solo il campo ci saprà dire se il momento di secca resterà parte integrante di questo Higuain. Se quei segnali nascondono un disagio o solo un istante di perdizione. Se il Pipita tornerà ad essere il Pipita, ma non l’uomo di Napoli o dei 36 gol in campionato: perché va capito che quel giocatore è andato via, svanito per le poche pressioni bianconere e per la miriade di responsabilità che gli undici in campo sanno ben dividersi.

Gonzalo non è più l’uomo che prende palla a centrocampo, chiude il triangolo con l’esterno e fa gol. Non esisterebbe l’estro di Dybala, così. Non esisterebbe l’inserimento di Matuidi, Mandzukic sul secondo palo o la finta a rientrare di Douglas e Cuadrado. Non esisterebbe l’imperfetta Juve che davanti alla porta però non perdona: esattamente come il suo nove. Atteso, bramato, ritornato. Nel momento più importante per tutti, ma per nessuno in particolare: che gli uomini, quelli veri, sanno redimersi nelle sabbie mobili e uscirne puliti. Nonostante il dolore, nonostante il timore, azzannando di tap in quel pallone che non vuole più entrare.

Cristiano Corbo

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