Le mani sulla finale e un talento senza fine

È l’avarizia di certe notti a renderti grande. È il coraggio di un’uscita bassa, contro un treno a mille all’ora. È la predisposizione naturale al compiere miracoli, a saper stare in piedi quando c’è da aspettare, ad indovinare l’angolo quando l’ultimo baluardo è pure l’ultimo brandello di speranza. A semplificare i concetti, così come i pericoli. Ad evitarli, certi trabocchetti. E a masticarla, quella paura. La più bella: perché è lei a farti vivo, lei a coprirti le spalle con la sorte. Lei a renderti leggenda.

L’inchiostro di certe serate, poi, disegna traiettorie che prendono sentieri propri. Ma la meta è fissa, e non cambia mai. Si va in alto, tra le stelle. Quelle eterne, immortali, illuminate da un fascio di talento e da quel bagliore infinito che solo determinate personalità possiedono. Ne brillano tante, al Louis II. Ma una più di tutte: ché quel numero uno, quello più forte di tutti i tempi, anche stavolta ci è andato giù pesante d’entusiasmo e grinta, di talento e determinazione. Di posizione e parate. Di sogni e desideri.

Una sbornia di tutto: di emozioni, di ricordi, di proiezioni future. E di consapevolezza. Perché sradicare verso il basso la saracinesca, farlo contro queste frecce, contro questo Monaco, non è stato certo più facile del Camp Nou. Ed essere ancora per una notte Gianluigi Buffon, esserlo senza filtro, senza patemi, ha un significato così grande da lasciare in un angolo anche la doppietta di Higuain, i mezzi biglietti già fatti per Cardiff e le certezze da grande squadra che continuano ad affiorare.

Tutto il resto si spegne, si colora solo del volto e della barba brizzolata di un uomo che scherza col tempo, con se stesso, con le proprie ambizioni. E lo fa chiedendosi ogni giorno come sia possibile mantenere quella naturalezza, conservare quel talento, relegare al mondo la pesantezza dei giorni che passano e restarne intatto, immutato, invariabilmente fuoriclasse. E indiscutibilmente uomo, ma quasi mai umano. 

Nel calderone delle emozioni, delle sue emozioni, chissà allora Gigi cos’avrà gettato. L’ennesima rivincita, magari: con se stesso e con quei pochi detrattori che gli restano. O forse un’unica, forte scarica d’adrenalina. Un’unica, forte esternazione di gioia. Perché sì, nulla si è fatto: ma tanto ha dato, Buffon come la squadra intera. E tanto ancora ha da dare. Un’ultima prova, quantomeno. Per l’ultima strada che ha ancora da percorrere, da guadagnare, da sognare.

Sì, si può credere alle favole. E si può chiudere con una manona sul sinistro al volo di Mbappé, in presa bassa sull’incursione in area di Falcao, in uscita fugace sullo scatto ancora del francese. E sì, si può tornare a volare: come ha fatto sul colpo di testa di Germain, sventato con l’esuberanza, la freschezza e la meravigliosa e salda incoscienza dei suoi quasi quarant’anni. E sì, si può tornare ad immaginarsi lassù, tra i più grandi. Ad essere per sempre Gigi Buffon. Con le sue mani, con la sua voglia, con il suo pazzesco, infinito, inesauribile talento.

Aggettivi e tempo bussano forte, ma non apre nessuno. È che non c’è spazio per nient’altro: per una sera, non contano neanche gli oltre 600 minuti di imbattibilità europea, le cento presenze in Champions.
C’è solo Gianluigi, l’uomo ed il portiere, il capitano e la bandiera. Solo lui, e una squadra da portare tra le stelle. Ecco: proprio lassù. Nella storia, tra chi l’ha scritta. Parata dopo parata. Emozione dopo emozione. Vittoria dopo vittoria.

Cristiano Corbo

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