Quando tutto non basta

Ci sono cose più serie delle chiacchiere. E per fortuna. Ma allo stesso tempo ci sono cose anche più importanti di una qualificazione agli ottavi di Champions, probabilmente da primi nel girone, e di un primo posto in campionato ‘già blindato’ a fine novembre. Scherzi del destino, eh? Un tempo – neanche troppo lontano – raggiungere gli obiettivi prefissati era tutto ciò che contava.

No, non oggi. No, non basta. Almeno non per i soloni, per gli addetti ai lavori, per chi punta il dito di mestiere che il salario aumenta in base a quante volte indicano una seggiola traballante. La Juve di Siviglia non è stata arrembante, sfavillante, incessantemente padrona della gara e dell’emozione. È stata una continua, tremenda lotta per non retrocedere: al Sanchez Pizjuan non è mai andata in scena una semplice partita di un semplice girone di Champions League. È stata pura garra.

Era alla stregua di uno scontro diretto. Duro, bastardo, infame: se perdi, fuori dal mondo, fuori di testa. Ci ha pensato Vazquez a tirar fuori il peggio di sé: del resto, ci sono stadi e passioni non adatti ai deboli di cuore, a prescindere dal colore della tua camiseta. E tutto, magicamente, per uno strano giro di astri e di fallacci, ha saputo d’un tratto donare linfa e luce al blu acceso della Juve versione spagnola. Brutta, decisamente sporca, non così cattiva.

Il resto è storia nota: il sorriso di Marchisio, la classe non quantificabile di Bonucci, la chiusura magistrale di un Mario Mandzukic opaco e poco servito fino agli ultimi minuti della gara. Ha sfruttato il momento, il croato. L’ha sfruttato come la Juventus: coi suoi tempi, con il suo modo di giocare, nonostante il pressing asfissiante di stampa, tifosi e avversari. Ecco: la domanda, dalla mezz’ora del primo tempo, non è cambiata assieme al risultato. Fosse rimasto Vazquez in campo? Avesse continuato con quella pressione, poi, il Siviglia? Allegri non si è posto la questione: probabilmente lo farà, magari l’ha già fatto. Ma solo nei suoi pensieri.

Banner-Editoriale-Cristiano-CorboTre gol a Siviglia, pass per gli ottavi strappato, contendenti in campionato che fanno a gara a chi tiene meno il ritmo bianconero: di bicchieri vuoti, o mezzi vuoti, proprio non se ne vedono. E allora perché tutto questo pessimismo alle spalle della Vecchia Signora? Questione di forza. E non economica: non sono undici assegni a scendere in campo. Ma prettamente tattica, qualitativa, calcistica in senso totale e totalizzante.

Nessuno chiede fraseggi stretti o possesso palla continuo, nessuno chiede sovrapposizioni infinite e veloce recupero palla. Nessuno osa nominare il tiquitaqua, nessuno parlerà mai della pochezza di un centrocampo perennemente smarrito: nelle idee, nella compattezza, nello scavalcare mura e sentieri costruiti da allenatori troppo timorosi per colpire dritto al cuore di questa squadra. Individualmente superba, collettivamente punibile. Di sicuro, neanche per un istante fragile.

Chiudere i conti, chiudere i giochi, chiudere le bocche. Di obiettivi, da qui a Natale, ce ne sono. Siviglia è stato un saliscendi emozionale: per nulla un climax, per quanto esaltante la rimonta, per quanto poco scontata sembrasse la gioia a fine traversata. Talvolta, tutto non basta. Sembra un paradosso: è la Juve di quest’anno. Cinica quanto si vuole, concreta quanto richiede la storia. Però piatta, prevedibile, senza un reale filo connettore che sfrutti le immense qualità dei singoli. Questo è un problema. Pardon: questo è il problema. A Vinovo, tra un allenamento e un dvd sui movimenti offensivi del Genoa, Allegri aggiungerà un’altra storia nel cassetto delle imprese: si spera solo faccia in tempo. E magari, ecco, che lo possa fare senza infortunati così clamorosi. Capito, soloni?

Cristiano Corbo

 

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