Lei i consigli li ascoltava?
“Li ascoltavo, ri-ettevo e poi facevo di testa mia. Sono per l’autonomia e per il confronto. Se sei sicuro di te stesso, che problemi hai a confrontarti? Detesto gli yesmen e cambio idea perché non la considero una debolezza, ma un modo di crescere. So di non avere sempre ragione. Se ce l’avessi e dicessi solo cose giuste, sa che palle?”.
Lei è stato alle dipendenze di molti presidenti.
“Cellino, Berlusconi, Squinzi, Agnelli, Gaucci, Piero Camilli, con la sua follia, a Grosseto. Tutti importanti”.
Dopo tre anni, uno scudetto e qualche polemica, Berlusconi la licenziò.
“Me lo comunicò Galliani, poi il giorno dopo mi telefonò Berlusconi. Hanno romanzato tanto, inventando dissidi e complotti, ma la verità è che con il Berlusca ho sempre avuto un ottimo rapporto. È simpatico. Anzi, molto simpatico. Poi se mancano i risultati ci si può dividere, ma il rispetto reciproco non è mai mancato”.
Si diceva che, prima di assumerla, le avesse chiesto se fosse comunista.
“Assolutamente no. E a me della politica non importa quasi niente. Ora poi non c’è più nulla, gli ideali sono andati a farsi fottere da un bel pezzo e gli statisti sono nelle pagine dei libri”.
Per invertire il flusso ci vorrebbe anche fortuna. Lei è scaramantico?
“No, io credo nella positività e nella negatività delle persone. Però con gli scaramantici ho avuto a che fare. Il numero preferito di Cellino, il mio presidente al Cagliari, era il 23. E il calciatore per cui stravedeva, un argentino di nome Larrivey”.
Che con il gol non aveva troppa confidenza.
“Non segnava quasi mai. Per disperazione, Cellino decise di aiutarlo e fargli indossare di imperio il 23. Me lo comunicò tutto contento: «Me lo ha chiesto lui spontaneamente, sai Max?». Sapevo che era una bugia, ma finsi di crederci perché per gli scaramantici è importante essere assecondati. «È un’ottima notizia», risposi, «speriamo che domenica ci aiuti a vincere». Domenica. Si gioca Cagliari-Genoa. Vinciamo per 3-2. Larrivey segna con la sua 23 e fa gol anche Matri, che indossava la numero 32. Cellino era in estasi. Aggiunse il numero del terzo marcatore, Conti, che portava il 5 e giocò i numeri al Lotto”.
Vinse?
“Non ci crederà: vinse. Un’altra volta, vide che i nostri asciugamani blu a forza di lavaggi erano stinti nel viola e ordinò al magazziniere di trasferirli nello spogliatoio avversario”.
Dopo Napoli-Juventus dell’andata qualcuno prese per matto anche lei.
“Quando tutti pensano di farmi il funerale poi si ricredono, adesso inizio a divertirmi io”, dissi.
Un girone dopo, le prospettive si sono ribaltate.
“Ma non porto mai rancore, è una fatica inutile. Il calcio è una chiacchiera da bar. Fanno tutti i professori, parlano di tattiche e schemi, ma la verità è che nel pallone non si inventa nulla dal ’92, dall’abolizione del passaggio indietro al portiere. Il resto sono puttanate”.
E lei puttanate ne ha mai fatte?
“Nella vita ho fatto tante cazzate e sulla mia carriera di allenatore nessuno avrebbe scommesso un mezzo caffè. Allegri è un coglione, dicevano. Gioca al Casinò, punta sui cavalli, ha lasciato la sposa sull’altare, è solo una testa matta. Diventare chi sono è stato sfidare un pregiudizio. Dimostrare che le origini hanno un senso: vengo da Livorno, sono di scoglio e lo scoglio, come si sa, è duro”.
E con le cazzate di ieri che rapporto ha?
“Sono contento di averle fatte. Le ho pagate tanto. E mi hanno insegnato molto”.
Ieri la irridevano. Oggi la invidiano.
“A Livorno si dice: Meglio invidiati che compatiti. Mi pare renda l’idea”.