Allegri: “Juve, dopo Napoli volevano farmi il funerale. Ho detto: ora mi diverto io”

Massimiliano Allegri ha concesso una lunga intervista per “Gqitalia.it”, il tecnico bianconero spazia dal rapporto con i suoi calciatori e presidenti, agli errori commessi nell’arco della sua carriera. Eccone i passaggi più salienti.

Come erano le sue estati? Un asciugamano, uno scoglio, un pezzo di torta di ceci. Sotto il sole, senza creme solari. A spellarsi, a dormire, a farsi male facendosi bene”. E oggi come sono? “L’anno scorso ho organizzato in città un campo estivo per i bambini. Centocinquanta ragazzini al giorno. Urla, pallonate, fotogra­fie, partitelle, genitori attaccati alle reti di recinzione. A ­fine giornata, dalla stanchezza, non mi riconoscevo. Ed ero contento. Gli occhi di quei bambini li conoscevo. Erano i miei”.

Le piace la normalità?
“Mi piace il cazzeggio. Mi dà grande gioia. Rasserena, rimette in pace con il mondo. Lo consiglio ai miei giocatori. Non si può essere concentrati per 24 ore al giorno. È un indizio di malattia”.

Amico, carceriere, educatore. Che tecnico è Massimiliano Allegri?
“Amico no, carceriere mai. Non recludo i calciatori, li responsabilizzo. Le soluzioni devono trovarle da soli. Altrimenti quando saranno senza aiuto non sapranno a che santo votarsi”.

 

allegri carpi

Lei i consigli li ascoltava?
“Li ascoltavo, ri-ettevo e poi facevo di testa mia. Sono per l’autonomia e per il confronto. Se sei sicuro di te stesso, che problemi hai a confrontarti? Detesto gli yesmen e cambio idea perché non la considero una debolezza, ma un modo di crescere. So di non avere sempre ragione. Se ce l’avessi e dicessi solo cose giuste, sa che palle?”.

Lei è stato alle dipendenze di molti presidenti.
“Cellino, Berlusconi, Squinzi, Agnelli, Gaucci, Piero Camilli, con la sua follia, a Grosseto. Tutti importanti”.

Dopo tre anni, uno scudetto e qualche polemica, Berlusconi la licenziò.
“Me lo comunicò Galliani, poi il giorno dopo mi telefonò Berlusconi. Hanno romanzato tanto, inventando dissidi e complotti, ma la verità è che con il Berlusca ho sempre avuto un ottimo rapporto. È simpatico. Anzi, molto simpatico. Poi se mancano i risultati ci si può dividere, ma il rispetto reciproco non è mai mancato”.

Si diceva che, prima di assumerla, le avesse chiesto se fosse comunista.
“Assolutamente no. E a me della politica non importa quasi niente. Ora poi non c’è più nulla, gli ideali sono andati a farsi fottere da un bel pezzo e gli statisti sono nelle pagine dei libri”.

Per invertire il flusso ci vorrebbe anche fortuna. Lei è scaramantico?
“No, io credo nella positività e nella negatività delle persone. Però con gli scaramantici ho avuto a che fare. Il numero preferito di Cellino, il mio presidente al Cagliari, era il 23. E il calciatore per cui stravedeva, un argentino di nome Larrivey”.

Che con il gol non aveva troppa con­fidenza.
“Non segnava quasi mai. Per disperazione, Cellino decise di aiutarlo e fargli indossare di imperio il 23. Me lo comunicò tutto contento: «Me lo ha chiesto lui spontaneamente, sai Max?». Sapevo che era una bugia, ma ­finsi di crederci perché per gli scaramantici è importante essere assecondati. «È un’ottima notizia», risposi, «speriamo che domenica ci aiuti a vincere». Domenica. Si gioca Cagliari-Genoa. Vinciamo per 3-2. Larrivey segna con la sua 23 e fa gol anche Matri, che indossava la numero 32. Cellino era in estasi. Aggiunse il numero del terzo marcatore, Conti, che portava il 5 e giocò i numeri al Lotto”.

Vinse?
“Non ci crederà: vinse. Un’altra volta, vide che i nostri asciugamani blu a forza di lavaggi erano stinti nel viola e ordinò al magazziniere di trasferirli nello spogliatoio avversario”.

Dopo Napoli-Juventus dell’andata qualcuno prese per matto anche lei.
“Quando tutti pensano di farmi il funerale poi si ricredono, adesso inizio a divertirmi io”, dissi.

Un girone dopo, le prospettive si sono ribaltate.
“Ma non porto mai rancore, è una fatica inutile. Il calcio è una chiacchiera da bar. Fanno tutti i professori, parlano di tattiche e schemi, ma la verità è che nel pallone non si inventa nulla dal ’92, dall’abolizione del passaggio indietro al portiere. Il resto sono puttanate”.

E lei puttanate ne ha mai fatte?
“Nella vita ho fatto tante cazzate e sulla mia carriera di allenatore nessuno avrebbe scommesso un mezzo caffè. Allegri è un coglione, dicevano. Gioca al Casinò, punta sui cavalli, ha lasciato la sposa sull’altare, è solo una testa matta. Diventare chi sono è stato sfi­dare un pregiudizio. Dimostrare che le origini hanno un senso: vengo da Livorno, sono di scoglio e lo scoglio, come si sa, è duro”.

E con le cazzate di ieri che rapporto ha?
“Sono contento di averle fatte. Le ho pagate tanto. E mi hanno insegnato molto”.

Ieri la irridevano. Oggi la invidiano.
“A Livorno si dice: Meglio invidiati che compatiti. Mi pare renda l’idea”.

 

Impostazioni privacy