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Non al denaro, non all’amore, né al cielo: la Super League e la fine del calcio che conosciamo

La principale notizia di oggi non riguarda il Coronavirus, né il Recovery Fund e neanche le manovre militari della Russia al confine con l’Ucraina. La principale notizia di oggi ha creato uno tsunami mediatico che da anni non veniva generato da alcunché, Covid escluso. La principale notizia di oggi riguarda il mondo del calcio ed è la creazione della Super League.

Non al denaro

Se oltre alle federazioni calcistiche anche governi e Unione Europea hanno qualcosa da dire significa che il problema è veramente sentito. L’annuncio di ieri sera ha spazzato via decenni di calcio giocato e non, aprendo il mondo ad una prospettiva che solo in Italia nessuno aveva preso sul serio. L’uscita dalla Champions League della Juventus aveva infatti portato vari tabloid inglesi a prendere di mira Andrea Agnelli con parole del tipo “se vuole la Super League un motivo ci sarà”. Nel mentre, in Italia tutto taceva.

La motivazione che ha riunito i grandi club europei (non tutti, a dire la verità) nel generare una scissione di così grande portata con la UEFA è semplice, banale e immediata: il denaro. I fatti parlano chiaro. Il massimo organo continentale doveva annunciare in giornata la creazione della nuova Champions League, con gironi allargati a dieci squadre, e i “secessionisti” hanno risposto con una vera e propria bomba.

La UEFA infatti ha in mano i ricavi delle coppe europee, che distribuisce alle varie squadre qualificatesi a seconda del loro piazzamento, insieme alla quota del market pool (che varia per ogni paese e premia i club dello stesso che vanno più avanti). La Super League non è niente di tutto questo. La nuova entità punta alla distribuzione autonoma dei ricavi che si punta ad ottenere da sponsor e finanziatori, con un ricco bonus iniziale per i club fondatori.

Va da sé che una competizione del genere attira attenzioni da ogni parte, e non solo quella dei tifosi: il rientro in termini di immagine è incredibile per chiunque ci metta del denaro. Le televisioni farebbero a gara per vedere ogni due settimane partite spettacolari. Gli stadi sarebbero sempre pieni, aumentando le sponsorizzazioni per ogni squadra.

C’è inoltre la non scontata questione della presenza fissa. La Super League nasce per garantire ad ogni club una continuità che i risultati stagionali possono non dare: la Juventus di quest’anno è un esempio, ma in Inghilterra la situazione è sempre ingarbugliata e si rischia di non qualificarsi alla successiva Champions League nonostante investimenti monstre.

Insomma, è chiaro che la decisione non è frutto della volontà di alzare il livello generale del calcio ma solo quello dei bilanci dei club partecipanti. Ed è qui che si sta scatenando la polemica.

Non all’amore

Cosa rimane dei sogni di un’Atalanta o di un Leicester qualsiasi con la Super League? Niente, o quasi. Cinque posti saranno garantiti per merito, ma in questo la UEFA ha una carta superiore da giocare. Le competizioni europee sono sempre state guidate da tale criterio nella qualificazione, che ovviamente fornisce obiettivi stagionali a chi, per forza di cose, non può puntare alla vittoria del campionato.

La meritocrazia nella UEFA è tale che anche il numero dei posti nelle coppe europee è deciso dal coefficiente della singola Federazione, basato sui risultati complessivi delle proprie squadre. Nessuno o quasi ci fa più caso ma se l’Italia ha ottenuto nuovamente quattro posti in Champions League lo deve a questo (almeno in parte: la UEFA decise di dare quattro posti anche alla quarta federazione in classifica, che all’epoca era l’Italia).

Forse è questo il lato peggiore della Super League, quello che fa gridare a molti “siamo arrivati alla morte del calcio“. La fine della meritocrazia nell’unico aspetto della vita in cui (forse) si può realmente riscontrare (il mondo del football) scuote le coscienze dei singoli e non solo delle Federazioni. Non è un caso che Macron o Johnson si siano espressi in tal senso, dando voce ad una polemica diffusa.

Non si può non notare che è proprio questo a poter porre fine al calcio come lo conosciamo, o forse è “anche” questo a portare alla rivoluzione a cui stiamo assistendo.

Né al cielo

Più dei campionati nazionali c’è solo la Champions League, e in parte l’Europa League. Tecnicamente c’è ancora di più, ma nessuno ci fa caso: il Mondiale per Club non attira le stesse passioni. E più di una squadra di club c’è il sogno dei sogni, giocare con la propria Nazionale, qualcosa che i giocatori dei “secessionisti” non potrebbero più fare.

Tra tutte le possibili “vendette” degli organismi internazionali questa forse è la peggiore. I migliori calciatori saranno in Super League, ma non all’Europeo o al Mondiale. Sarebbe incredibile non vedere un Pallone d’Oro in una partita di così alto livello, dove può fare la differenza in una squadra che non è “collaudata” dall’allenamento di tutti i giorni.

Cosa rimarrebbe poi di queste competizioni è tutto da scoprire. Il loro fascino è dato dallo svolgimento quadriennale, ma il pubblico sarebbe abituato a sfide settimanali di livello molto più alto. Ed è anche questo il risvolto della Super League: al netto di ArmeniaLichtenstein, i “secessionisti” toglierebbero di mezzo BeneventoJuventus, dove Golia batte sempre Davide, e chi dice il contrario ha ragione.

Non al denaro, non all’amore, né al cielo

La Super League è mossa dalla volontà dei club di una ripartizione migliore (per così dire) delle risorse del calcio europeo, ma interessarsi solo al denaro porterà via l‘amore dei tifosi e forse anche dei calciatori, che non potranno più puntare al cielo del panorama internazionale.

La scelta quindi è un vero e proprio boomerang, che non tarderà a tornare indietro. La via è tracciata dai processi che FIFA e UEFA faranno iniziare contro i secessionisti, pronti a rispondere con la loro potenza di fuoco economica.

Rimane la (mia) profonda convinzione che la Super League sia quindi un mero strumento di pressione che possa indurre la UEFA a fare concessioni economiche ai club secessionisti, che però hanno una potenziale ricaduta davvero promettente come una Superlega.

Chiunque ne uscirà sconfitto, nessuno lo sarà più del diretto interessato, il calcio.

This post was last modified on 20 Aprile 2021 - 15:55

Christian Carnevale

Laureato in Lettere, dottorando in Scienze Politiche all'Università di Roma La Sapienza, la cui passione per la storia delle relazioni internazionali non è inferiore a quella per il gioco più bello del mondo. Nella grande famiglia di Rompipallone dall'agosto 2019, sempre con uno sguardo ipercritico sul mondo del calcio.

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Christian Carnevale