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Editoriale

L’ultima parata di Gianluigi Buffon

Non può esserci il sole, su Torino. E non può esserci pioggia, poi. Può solo esserci il grigio del vuoto, dell’assenza, dell’astinenza fulminea dopo una dose di emozioni così impattante. Gigi al quindicesimo si distende sulla sua sinistra, e una porzione di passato ti abbraccia alle spalle come il più infimo dei brividi: non c’è singolo membro di questo spettacolo che voglia chiuderla qui, e qualcuno con gli occhi fissi su Buffon prova a tenere ancora aperto il sipario.

E’ uno spettacolo. Tutto. Diciassette atti intrisi di cuore, passione, delusioni, sofferenze, scelte. E oggi è un continuo mescolarsi ai ricordi, specchiarsi nei percorsi trafficati di tutti i colori possibili ma di una squadra soltanto. E di un uomo, soltanto. Col numero uno, con una maglia verde fiammante, che ancora ha voglia di smanacciare, portarsi al limite dell’area, invocare l’uscita alta alla difesa.

90′ SOLTANTO

Gli occhi fanno quel che possono: incatenano al cervello i suoi guantoni e i suoi pollici alti, i continui salti ai messaggi neanche troppo criptati di quelli che sono i suoi tifosi ancora per una lunga e tremenda notte. O forse davvero per sempre.

Davanti si caricano le giuste dannazioni per portarsi a 95, e dal ’95 Gigi poggia le braccia sulle ginocchia per liberarsi dall’afa di un cielo coperto di metà maggio, e poi per tenersi pronto, per rimbalzare sul pezzo. Tre e quattro passi all’indietro, palla – loro – che non ha il coraggio di interrompere con una mezza macchia la storia più bella. E la traversa di Dybala, e gli applausi a lui, e quelli della curva a Gigi fermatosi soltanto a bere e dissetatosi di un mare d’affetto. Della partita importa il giusto: da festeggiare c’è una parte incredibile della vita di tutti noi raccolta in due semplici mani. Non ci sentiremo mai più così al sicuro.

QUELL’ATTIMO

Il gioco di sguardi con Rugani è un racconto di speranza, un’immagine che si analizza e scontorna nei brividi: Gigi chiude un occhio mentre l’altro gli ride, ‘Ruga’ gli stringe i pugni e gli dà uno dei quarantamila abbracci che Buffon vorrebbe ricevere. Poi Pjanic: e la certezza di chiudere ancora con il sorriso, mentre Pinsoglio sveste i panni del fortunato spettatore e inizia un lungo e straziante riscaldamento.

Sono questi, gli attimi più belli. Quelli dell’attesa, della paura, delle tristi certezze: che tutto finisce, ma non per questo sfiorisce. Che ogni lacrima che si sta per versare, ha dentro una storia fatta di diciassette anni, milioni di momenti, miliardi di piccoli e cocciuti istanti con Buffon prima certezza dei tuoi sentimenti più sinceri.

Cessa qui, allo Stadium, davanti al minuto sessanta che raccoglie il senso di tutti i ‘perché’, una parte ingombrante della nostra esistenza. E termina nel modo più giusto, sentito, amorevole di tutti: con un abbraccio che non ha fine.

LA VITA DOPO BUFFON

Il mondo è in piedi, e l’acqua che vien giù copre solo in parte le lacrime che non smettono di piovere. C’è una folla oceanica di sensazioni e turbamenti, di soddisfazioni e cuori appesi. C’è la consapevolezza che tra gli uomini, Buffon sia stato l’unico realmente capace di intendere i momenti, di farli suoi, di aprirsi completamente a questa storia e di averlo fatto senza filtro.

La curva lo invoca a gran voce: non ne avrebbe bisogno. Il giro è già stato calcolato, immaginato, sognato. Ed è esattamente come avrebbe dovuto essere: senza barriere e senza fine. Lichtsteiner sbaglia il rigore, la Juve giochicchia sul finale, Buffon impara a nuotare nel vortice di mani che cercano di rubare un ultimo contatto con l’eroe di sempre.

Ci sarà una Juventus senza Buffon: questo lo sanno tutti. Non ci sarà mai più una Juventus con Buffon: questo fa male, e un po’ paura. La pioggia scende ancora forte sullo Stadium, Stephan Lichtsteiner saluta tutti, Gigi non sarà più il numero uno di questa squadra. Rendersene conto sarà devastante.

Cristiano Corbo
(che è onorato di aver raccontato meravigliosi istanti di quest’Uomo per Voi)

This post was last modified on 21 Maggio 2018 - 11:41

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