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Editoriale

L’anomalia italiana dei “giovani” calciatori

Il calciomercato di gennaio non ha mai mosso i fenomeni. Tutto sommato è giusto e normale che sia così, considerando che viene da tutti gli addetti ai lavori definito come “mercato di riparazione”. Se le “big” devono correre ai ripari significa che hanno sbagliato e tanto nel mercato estivo, e in ogni caso difficilmente si trovano top player che si spostino in questa finestra, perché sia i giocatori stessi che le Società non sono predisposti a modificare in corsa gli obiettivi stagionali che si stanno perseguendo. Il mercato vero si movimenta solitamente per le squadre di media-bassa classifica, dove facendo le dovute proporzioni i calciatori che cambiano casacca possono effettivamente spostare gli equilibri pur magari non trattandosi di primissimi nomi.

VERDI E IL NAPOLI

In un contesto come questo, quando si muove una squadra come il Napoli che al momento è prima in classifica per andare a prendere un giocatore del Bologna che naviga a centro graduatoria ci si aspetta che il ragazzo vada a supplicare la dirigenza per lasciarlo partire quanto prima. E invece non è sempre così. Il caso di Verdi è solo l’ultimo di una serie di gran rifiuti di giocatori che non vogliono muoversi dalla provincia per fare il grande salto nelle squadre di vertice adducendo come motivazione la volontà di “continuare a crescere in un ambiente più protetto”. Questo discorso potrebbe decisamente avere un senso se si stesse parlando di un ragazzo di 17, 18, anche 20 anni. Ma Verdi di anni ne ha 25, il processo di crescita e maturazione ad un certo punto si fermerà, o forse si è già fermato, se non si metterà alla prova in piazze più calde che non quella della tranquillissima Bologna che ormai da anni ottiene poco più che una salvezza tranquilla. Se poi dietro queste dichiarazioni di facciata le motivazioni sono altre, allora il discorso cambia. Quasi a tutti è venuto in mente che nel Napoli si fa una fatica mostruosa ad entrare nella ristrettissima cerchia dei titolarissimi di mister Sarri, con il rischio di fare la fine di Giaccherini o di Pavoletti finchè è rimasto, ovvero di vedere il campo col lumicino, in piccoli spezzoni di partita, e spesso a giochi già conclusi. Verdi a Bolgna è adorato e coccolato, è titolare fisso, gioca tutte le partite, è in orbita nazionale ed è un suo sacrosanto diritto preferire di giocare tutte le partite piuttosto che rischiare di fare l’ombra del trio Mertens – Insigne – Callejon, a cui a breve dovrebbe anche riaggregarsi il lungodegente Milik.

BERARDI E GLI ALTRI

Una situazione simile l’ha vissuta negli anni passati la Juve, dove l’eterna promessa Berardi non ha mai voluto tornare alla base preferendo una più tranquilla e costante “crescita” al Sassuolo. Anche Berardi ormai non è più giovanissimo, e qui scatta l’anomalia tutta italiana in cui da noi i giocatori di 25-26 anni sono ancora in crescita. All’estero non sono più considerati “giovani” nemmeno a 23 anni, e spesso a quell’età i giocatori davvero forti hanno già diversi anni di campionati professionistici alle spalle, spesso vissuti da protagonisti in squadre di altissimo livello. Kean può essere giustamente considerato un giovane che deve crescere, ma ha 17 anni. Potrebbe esserlo Donnarumma, che gioca ormai da giocatore navigato nonostante i suoi 18. Il voler rimanere a Sassuolo o Bologna per crescere a 25 anni è davvero poco credibile, e persino poco proficuo per i giocatori stessi.

Se davvero dobbiamo mutuare qualcosa dall’estero, piuttosto che il boxing day che quest’anno è stato criticato proprio dagli allenatori della Premier League, dovremmo prendere questi aspetti. I giocatori giovani, se son forti, giocano ovunque. Se un ragazzo di 25 anni non se la sente di spostarsi perché ha paura di non giocare più, va rispettata la scelta, ma ci dobbiamo chiedere quali sono le vere ragioni che sono alla base. E sicuramente il sistema del calcio italiano influisce non poco.

Dario Ghiringhelli (@Dario_Ghiro)

This post was last modified on 17 Gennaio 2018 - 14:08

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