
Gli attimi. Quelli che precedono, quelli che seguono. E poi quello che vivi. Che decide tutto, che ti scarica in faccia la realtà come quel connubio tra pozzanghera al lato della strada e un Suv che va troppo veloce. Tu chiaramente fermo ad aspettare il bus che ti riporta a casa.
Come si combattono i momenti? Paulo se lo sarà chiesto tra un istante e l’altro, tra un sorriso e uno sguardo un po’ più cupo. Poi l’avrà finalmente capito: semplicemente non si può. Perché un momento puoi gestirlo, puoi ricordarlo o cancellarlo. Puoi al massimo goderne o soffrirne. Ma non puoi combatterlo: è più invasivo di tua madre coi panni sporchi, è più annebbiante anche di tutto quel cumulo di pressione che consumava l’aria in uno Stadium incredulo.
Ah, se siete nuovi del gioco: i colpi inferti dal calcio si contano a fine esistenza. Altrimenti da una roba così è difficile rialzarsi l’indomani, indossare la maschera preferita e continuare a determinare la vita con le proprie scelte. E da una roba così ci si fa più forti, inutile non ricorrere alle banalità del caso. Perché sarà pur vero che il più grande pregio di Dybala è sempre stata la maturità, oltre a quel magico sinistro: ma la Joya resta un puntino in una serie infinita di attimi da campione assoluto. E quel puntino è il suo essere un ragazzo di ventiquattro anni, con il dieci sulle spalle in una squadra condannata dalla sua stessa essenza a vincere ovunque, comunque.
Quindi sì, ha ancora da crescere; quindi sì, c’è ancora tempo da pazientare. E ci sarà ancora un Dybala da ammirare: è lui il primo a volerla rigiocare, quella mezz’ora. A voler incidere al massimo dalla prossima gara, mercoledì in Champions a Lisbona. Ché quel momento lì, quello in cui il destino l’ha fregato, non lo dimenticherà mai più.
E non dimenticherà più Bergamo, come non dimenticherà i bei momenti e le vittorie, i sorrisi e quella Selecciòn che ancora oggi è un meraviglioso punto di partenza. Le leggende metropolitane si moltiplicheranno perché il suo nome impone una riflessione: ma non è cambiato nulla. Un errore non ha mai modificato l’essenza di un talento, semmai ha cambiato qualche umore. Da cosa ripartire, allora? Proprio dall’ultimo istante che l’ha reso più grande: Strakosha, i suoi pugni a respingere quel penalty. Quindi le ginocchia a terra, le mani sul volto e il distendersi sul verde e freddissimo prato dell’Allianz Stadium.
Ripartire da quella tristezza, insoddisfazione, frustrazione. Dalla paura di non poter più essere l’uomo decisivo, dalla certezza di avere un altro problema da affrontare e un altro muro da scavalcare.
Sarà solo l’ennesima prova. Pardon: l’ennesimo momento.
Cristiano Corbo
This post was last modified on 14 Ottobre 2017 - 21:38 21:38