Paro, poi Ricchiuti. Iniziava così, dieci anni or sono, l’avventura della Juventus all’inferno, sul campo del Rimini. Dieci anni colmi di quello che si poteva e non ci si poteva aspettare: gioie, delusioni, vittorie, sconfitte, lacrime di gioia e di amarezza. La differenza tra la vita reale e le fiabe è che il lieto fine deve arrivare continuamente: non ci accontenta mai, un obiettivo dopo l’altro, ci si prova sempre e non ci si adagia mai sugli allori. Non c’è mai un punto d’arrivo, ma sempre quello di partenza.
Sembrava quasi che la Juventus fosse morta, non sul campo, ma in un tribunale. Lì si era deciso che i bianconeri dovevano essere seppelliti, in Serie B, per volere altrui, dopo aver vinto gli ultimi due scudetti sul campo. “Giù le mani dalla Juventus” era il coro che regnava tra i tifosi, quelli veri, che mai hanno abbandonato la barca. Le mani sulla Vecchia Signora ce le hanno messe, eccome. Mani che l’hanno infangata, che l’hanno trascinata giù, ma è stato commesso un errore. L’errore sta nell’ aver creduto di aver effettuato un omicidio: no, la Juve non è morta, perché la Juve non muore mai.
Si sono spese tante parole di lode ed elogio per i cinque cavalieri che hanno accompagnato la Juventus
Dall’Inferno dantesco, fatto di lacrime e sangue – quello della storia bianconera, lacerata -, si è risaliti al Paradiso, per restarci, sempre. La Juventus ha dimostrato che, in quegli anni, vinceva merito societario e sportivo, perché ha sempre avuto una proprietà forte e, soprattutto, capace. Dopo i primi anni di assestamento, con una rivoluzione societaria, Madama è ritornata a vincere, ma non solo: ha stravinto. Ha messo in piedi un organismo così avanzato da permettere di pensare che la vittoria in Serie A, uno dei campionati più tattici e difficili al mondo, sembrasse una formalità; ha stracciato la concorrenza, facendo in modo che il campionato finisse ogni anno sempre prima; ha creato l’unica squadra italiana capace di lottare in tutto e per tutto con le big d’Europa, senza paura, senza timore.
La memoria, però, non muore mai: tutti i tifosi bianconeri sanno cosa è successo soltanto dieci anni fa, ricordano il gol di Paro a Rimini, ricordano l’ansia per un gol che non arrivava, in Serie B come quella di una partita di Champions, ricordano da dove vengono e da dove sono risaliti: proprio per questo, a dieci anni di distanza, essere tifosi della Juve è un filino più bello. Proprio per questo, a dieci anni di distanza, la parola Juventus riecheggia ancor più forte in Italia e in Europa. E gli avversari? Sempre dietro: forse, una decade dopo, non è cambiato così tanto.
This post was last modified on 10 Settembre 2016 - 15:14