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Editoriale

Juve, la numero 10 che non c’è più

La maglia numero 10 nel calcio non è una moda, ma un titolo. Un riconoscimento alle doti tecniche, alla fantasia, all’estro. Perchè no, anche ad una certa dote rappresentativa dei colori sociali. Un premio ambito e doveroso che contraddistingue i campioni, i fuoriclasse, i geni del calcio capaci di cambiare le sorti delle partite più difficili con una delle loro magie, gli stessi in grado di infondere fiducia ai compagni con la sola presenza in campo. Dettano legge i numeri 10, fanno il buono ed il cattivo tempo, ma esaltano ed emozionano come nessun altro. Da sempre. Le eccezioni sono poche, spesso fugaci e dettate perlopiù da abbagli di mercato. Ma in genere, l’epilogo del sogno è cosi.

LA 10, IL SOGNO – Un sogno cullato sin dai primi calci e per tutta la trafila instradata dalle scuole calcio. Una costante ispirazione fanciullesca scaturita dalle gesta tecnico/balistiche dei campioni visti in tv e allo stadio, imitate poi sui campetti di periferia o sotto casa, ma che oggi rischia di perdere tutto il suo fascino, complice il declino di una figura che appariva praticamente intramontabile vent’anni fa: quella del fantasista. Pensiamo alla Juventus, che dopo i recenti miti di Platini, Roberto Baggio e Del Piero, non ha trovato stabilità e soprattutto un vero e proprio custode della maglia più prestigiosa che esiste nel calcio. In verità, dopo Pinturicchio, la diez bianconera ha conosciuto gloria attraverso la breve epopea di Tevez, tuttavia conclusasi prima del previsto col ritorno dell’Apache in Argentina. In seguito, il polpo Pogba ha raccolto la pesante eredità fra non pochi dubbi e qualche incertezza. Il francese era troppo giovane forse? Ancora in attesa della definitiva consacrazione per una maglia cosi importante? Oppure era troppo centrocampista e, insomma, magari anche poco decisivo?

ROBY BAGGIO. Di 'divin' non aveva solo il codino, anzi: chiedere per informazioni alla Juventus, con la quale mette a segno 141 presenze e 78 reti. Nel '95 il passaggio al Milan, quindi l'esperienza a Bologna. Arriva però l'Inter a ridargli una meravigliosa chance di risalita: finirà in 2 anni, con 41 gettoni e 9 reti.
ROBY BAGGIO.
Di ‘divin’ non aveva solo il codino, anzi: chiedere per informazioni alla Juventus, con la quale mette a segno 141 presenze e 78 reti. Nel ’95 il passaggio al Milan, quindi l’esperienza a Bologna. Arriva però l’Inter a ridargli una meravigliosa chance di risalita: finirà in 2 anni, con 41 gettoni e 9 reti.

SENTIMENTALISMI E MARKETING – Checché se ne dica, scegliere di attribuire a Pogba il prestigio e l’onore di indossare una maglia che in passato appartenne ai mostri sacri della storia juventina non si è certo rivelata sbagliata sotto il profilo tecnico del calciatore, peraltro già mostruoso. Tuttavia, considerando quantomeno in bilico la sua volontà di sposare il progetto un po’ più a lungo di una sola stagione, apporre sulle spalle dell’asso francese un numero traboccante di storia e responsabilità come il 10 si è rivelata probabilmente una scelta affrettata, sicuramente dal punto di vista sentimentale ed emotivo, e scaturita esclusivamente da logiche di marketing. Del resto, anche per la stagione 2016/2017 lo sponsor tecnico ha spinto per attribuire la numero 10, stavolta a Paulo Dybala, considerato anche dallo spogliatoio l’unico in grado di addossarsi il peso di una maglia cosi importante, con tanto di “benedizione” proveniente dal longevo Alex Del Piero (numero 10 storico dal 1995 al 2012). Soltanto che la Joya non se l’è sentita, di fatto preferendo ancora la casacca numero 21, che pure ha rappresentato campionissimi nella storia bianconera, come Pirlo e Zidane. Ma la 10 è un’altra cosa, è l’eccellenza riconosciuta come tale ovunque e da tutti. Una specie di linguaggio universale nel panorama calcistico, che riconosce la grandezza dei talenti più puri e dei campioni più devastanti, con l’odierna eccezione di un top come Cristiano Ronaldo. Che Dybala stia semplicemente accantonando e/o rimandando un passaggio futuro (ma non troppo) al Barcellona? Che il piccolo argentino non se la sia sentita di “affittare” una maglia come la 10 soltanto per un anno? Una cosa è certa: il marketing potrà anche piangere un po’ a causa di questa scelta, ma il lato romantico del calcio, o quel poco che ne resta, certamente no.

I 10 DELLA SERIE A – Si pensi al resto delle squadre di Serie A. Quasi in tutte le big mancano i 10 di una volta, quelli all’altezza del numero, i campioni in grado di sostenerlo. A Firenze c’è un talento come Bernardeschi, vero, che però ad oggi è ancora un esterno offensivo in attesa di sbocciare più che un Rui Costa dalla classe sopraffina. A Milano, sponda rossonera, la numero 10 di una maglia storica e prestigiosa per il calcio italiano – e non solo – come quella del Diavolo, viene oggi indossata da Honda, che fra l’altro non figura neanche nell’undici titolare adottato da Montella. Un giapponese con metà della classe del Nakamura dei tempi della Reggina, soprannominato non a caso il Baggio d’Oriente. Le cose non vanno tanto meglio all’Inter, dove la maglia che fu addirittura di Luiz Nazario da Lima, Ronaldo oggi appartiene a Jovetic (e prima ancora a Kovacic), eclissatosi nel ruolo di riserva in pianta stabile e senza apparenti spiragli di titolarità. Anche la sponda biancoceleste di Roma vede lontani i tempi di Signori e Mancini, affidando la maglia numero 10 a Felipe Anderson, giocatore di buon talento si, ma ben lontano dall’essere considerato rappresentativo per i colori sociali e, soprattutto, conforme a tutte le caratteristiche dei vecchi numeri 10. Regge ancora la Roma, grazie all’eterno Totti, che tuttavia pare rivestire sempre più un ruolo cucito ad honorem oramai, quasi come fosse un ambasciatore ancora in attività agonistica.

ALLA RICERCA DEL PROSSIMO 10 – Ma torniamo ai bianconeri. La squadra di Allegri, dunque, come per la stagione 2012/2013 rimarrà priva di un numero 10. Al di là della retorica romantica, il fatto assume un significato di introspezione, come se Madama stesse attraversando un momento di rinnovamento, in cui la ricerca di un giocatore che possa rivestire anche dentro l’anima – oltre che sulle spalle – lo stile e la “spiritualità” della Juventus sia stavolta più approfondita, come sembrano confermare le stesse parole di Marotta nel corso della giornata trascorsa all’insegna della juventinità a Villar Perosa qualche settimana fa: “Nessuno ci ha chiesto la 10, forse qualcuno ha del timore e noi non abbiamo forzato”. Se ne riparlerà l’anno prossimo quindi, con qualche verdetto in più appurato e, soprattutto, un progetto tecnico profondo, attuato già da almeno 5 anni per riportare la Juventus ai vertici dell’Europa che conta dopo il buio dei due settimi posti consecutivi. A quel punto, dopo un anno di transizione e ricerca, partita dopo partita, potrebbe rivedere la luce il nuovo numero 10 bianconero. Risorto dalle proprie ceneri, proprio come insegna il mito dell’araba fenice.

Rocco Crea (Twitter @Rocco_Crea)

This post was last modified on 8 Settembre 2016 - 14:26

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