Un’abitudine da non perdere

A volte bisogna allontanarsi per cogliere il dolce sapore di un’abitudine.

I dettagli di un quadro, da lontano, svaniscono, ma lasciano spazio alla meraviglia dell’opera d’arte.

La stessa magia che, da lontano, trovi nell’odore di caffè che di mattina ti riempiva la camera.

Fate un passo indietro.

Vi chiedo di fare uno sforzo di memoria, di allontanarvi dal presente degli 8 vittorie in fila e della delusione di Champions.

Il 2009 sta per andare in archivio: per la Juventus è stato un altro lungo passo lontano dalla sua identità.

Prima di mandare tutto in soffitta, tra gli scatoloni dei brutti ricordi da cancellare, il Catania di un Sinisa Mihajlović alle prime esperienze da allenatore rifila un montante in pieno volto a una Signora rintontita.

Plasmati, al quarantunesimo, aggancia un lancio lungo di Izco e trova un filtrante sull’erba bagnata dell’Olimpico, casa di quelle annate surreali.

Il resto, appunto, sta in quegli scatoloni impolverati dei ricordi da bruciare: Izco cavalca verso Manninger e mette la firma a un finale (allora) prevedibile.

Mi sembra ancora di sentire quel senso di abitudine, tanto estraneo alla storia bianconera.

Lo sento ancora che mi scorre le vene e mi lascia un immenso senso di frustrazione.

L’abitudine ad arrabbiati pomeriggi di pioggia, proprio come quello lì che lasciò, ai tifosi bianconeri, il solito amaro in bocca.

In definitiva, l’abitudine alla sconfitta. Ci pensate?

Mentre guardate i festeggiamenti di quello che tanti definiscono “l’ennesimo Scudetto”, provate a ricordare come vi sentivate, in quei pomeriggi arrabbiati.

Delusi? Certo. Ma la rassegnazione di quei giorni cozza con la fame d’Europa che, oggi, è più forte che mai.

Ci eravamo abituati a quei finali in fotocopia: coi fischi dell’Olimpico, con il dubbio che la Juve, quella vera, non sarebbe mai tornata.

Invece è tornata, eccome se è tornata: come prima, più di prima. Contro chi la voleva morta. E contro chi ci sperava, che fosse morta.

Io, l’abitudine agli Scudetti, non riesco a odiarla. Proprio perché ho ancora la bocca impastata e la mente annebbiata dai settimi posti e dalle umiliazioni in giro per l’Italia.

Provate a ricordarvelo, com’erano quelle sconfitte.

Caricatele nel bagaglio di emozioni che vi portate dietro. Quello che, carico anche dell’incazzatura di mercoledì, porterà tutti sul tetto d’Europa.

Con la fame di chi ha conosciuto l’abitudine alla sconfitta, con l’orgoglio di chi sa di aver la vittoria nel sangue. Fino alla fine.

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