Prevenzione e non solo sanzione: così il calcio può liberarsi dal razzismo

Siamo alle solite, ancora una volta. A causa dei cori razzisti rivolti a Cuadrado durante la partita tra Verona e Juventus, il giudice sportivo ha disposto la chiusura per una gara della Curva sud del Verona. Marotta, già durante l’intervallo, aveva chiesto la sospensione della gara a causa dei ripetuti cori razzisti nei confronti del colombiano. Il giudice sportivo ha ammonito con diffida il dirigente bianconero per aver rivolto ai collaboratori della Procura federale “espressioni irrispettose”.

Quello dei cori razzisti e dei “buu” contro calciatori di colore sembra essere un vizio difficile da debellare. Un comportamento da condannare senza indugio, chiaro segnale di inciviltà e stupidità. Nonostante sia forte la condanna e l’indignazione, ancora una volta, siamo costretti ad assistere a scene di questo tipo. Ancora una volta, l’ignoranza di questi pseudo tifosi riesce a macchiare i valori sani di questo sport. Inutile girarci intorno, nel nostro calcio, dalle giovanili alla Serie A, il tanto atteso cambio di mentalità stenta ad arrivare. In questo campionato, durante Lazio-Napoli disputatasi all’Olimpico, addirittura la partita fu sospesa per 4 minuti a causa di cori razzisti nei confronti del difensore del Napoli, Koulibali. Anche in quel caso la Lazio fu condannata a giocare per ben due turni senza l’apporto della curva nord. La soluzione più immediata è rappresentata dalla chiusura del settore da cui provengono questi beceri cori, è vero. Ma da sola non basta. Senza un cambio culturale, che parta dai settori giovanili, sarà sempre più difficile risolvere questo che ormai è diventato un problema centrale del nostro calcio.

L’Osservatorio sul Razzismo e Antirazzismo ha registrato nella stagione 2013/2014 84 casi di discriminazione razziale negli stadi italiani. Gli ultimi episodi non fanno ben sperare per la stagione in corso, non si esclude un ulteriore aumento. Dati che, se immersi in una realtà quale dovrebbe essere il calcio, ispirata a valori di lealtà e correttezza, lasciano poco spazio alle parole.

Il caso Cuadrado è solo l’ultimo di una lista tristemente lunga. Zoro, durante un Messina-Inter nel 2005, minacciò di abbandonare il campo. Ciò che fece, invece, Boateng durante un’amichevole con il Milan nel 2013 contro la Pro Patria. A dir poco particolare il caso di Dani Alves, difensore del Barcellona, che durante una partita con il Villareal mangió una banana lanciata a suo indirizzo dai tifosi avversari, diventando il simbolo della lotta al razzismo e alla discriminazione.

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La repressione, da sola, non basta. Per ottenere risultati certi ed efficaci contro il razzismo è necessario prima di tutto la prevenzione. E anche la creatività. Curioso il caso di Omolade, attaccante nigeriano in forza al Treviso nel 2001, fischiato dai tifosi della sua stessa squadra. La società prese le distanze dall’accaduto, tanto che nella successiva partita, tecnico e calciatori scesero in campo con il volto coperto di nero, in segno di solidarietà nei confronti del compagno. In quella partita, Omolade, partì dalla panchina, entró a gara in corso e mise a segno un gol. Che poi, è anche la risposta migliore ai razzisti.

Aristide Rendina

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