Lo schiaffo di Marassi è più doloroso di altri. E ha radici ben profonde…

Il pomeriggio dei vinti porta con sé odori specifici: sono quelli del rimpianto, della rabbia, del fallo a centrocampo – sempre contro – quando imbastisci l’ennesimo faccia a faccia con il tuo destino. Solo che quello ha già deciso: perché sei sempre fuori dai giochi, nei pomeriggi dei vinti. E allora la Juve diventa un vecchio palazzo che prova a resistere all’usura del tempo e al pressing della Samp. Che non è nemmeno perfetta, ma gioca bene. Che non è neanche esaltante, ma tanto basta a chiudere le vene bianconere.

Il talento riapre le aspettative e consegna un quadro della situazione meno apocalittico: tant’è, il risultato resta. E pesa tanto, tantissimo. Più di quanto possa raccontare una dodicesima giornata di un campionato aperto come un parco nelle domeniche di primavera. Più di quanto lascerà intendere Allegri nella conferenza di rito, più di quanto racconteremo nei prossimi giorni.
È che quel palazzo, a Genova, è imploso su se stesso. L’ha fatto portando dietro di sé vecchie certezze e producendo macerie che assomigliano a enormi punti interrogativi.

Questa squadra ha affrontato due avversarie dirette per una probabile e sicura lotta al vertice, perdendo e meritando di perdere. Lazio e Samp si sono suddivise il bottino grosso dei campioni e hanno danzato su quei rimasugli d’orgogliosa Juventus che hanno partecipato alla festa solo a torta tagliata, ossia inutilmente. Con i biancocelesti c’è pure il rimpianto in Supercoppa, eh. Quindi col Barcellona una partita in cui un po’ di dimensione europea se n’era scappata a El Prat in cerca di altri lidi in cui atterrare. Dunque, se si alza l’asticella, un problema esiste. Tre indizi fanno una prova, quattro iniziano a confessare direttamente i colpevoli. Non necessariamente la guida tecnica, sebbene l’identikit non tracci una tragitto con destinazione così diversa.

Ecco: se il mese della verità è alle porte, e lo è, allora qualcuno farebbe meglio a pregare che Marassi abbia dato il solito schiaffo che serve a raddrizzare una stagione ballerina, però senza coreografia. Quantomeno ci sarebbe ordine, nel caso. Ci sarebbe disciplina. E non la paura d’incappare in un black out quando farà ancora più male ai fini di un torneo che sembra l’autodromo di Monza a inizio settembre: è tornato persino Gomorra, a breve lo faranno anche Napoli, Inter e Roma.

 

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