Del Piero, ieri, oggi, e … domani?

Che cosa sono 20 anni? 4 lustri, 1 quinto di secolo, 2 decenni…. Un’infinità di giorni e mesi che scorrono tra le dita, che si fatica ad afferrare, quasi che la loro essenza sia un sogno lungo una vita. La memoria viene in aiuto a mo’ di enorme sacco in cui riporre quante più occasioni possibili.
Che cosa sono 20 anni per una squadra di calcio? Una fetta di storia irripetibile, un pezzo di leggenda che si protrae oltre ogni limite, materia di mille libri, racconti, testimonianze, gioie e delusioni. Se poi si condividono con lo stesso giocatore, siamo in presenza di un miracolo.

Tutto inizia in curva, sopra la porta predestinata al primo goal, quando un ragazzino veneto, dal talento enorme (parola del Barone Causio), dava inizio ad una serie che ha del prodigioso. Del Piero Alessandro da San Vendemiano o da Conegliano, come volete voi, pagato circa 1 miliardo di lire, una bella somma a quei tempi, esordiva in serie A col botto. Mai miliardo fu meglio speso dal Presidentissimo Boniperti, un parsimonioso che più “tirato” non ce n’è.
Ale parte e non si ferma più, macina difese, avversari e…compagni. Perché rimpiazza un altro mostro sacro come Roberto Baggio, altro veneto ma vicentino, prende il posto da titolare e non lo molla fino a quando la malasorte non presenta il conto ad Udine. siamo in tempo a cacciare nel sacco della memoria uno stop spalle alla porta, giravolta e tiro in diagonale, terra-aria all’incrocio opposto, rete galattica, a Tokyo, Juve sul tetto del mondo e profonda invidia per chi non ce l’ha fatta ad essere davanti alla televisione di un bar, alle 11 del mattino, per via del fuso orario. In una Torino silente ed indifferente, presa dal solito tran tran di un giorno feriale, perchè da noi il lavoro viene prima di tutto, anche se al lunedì ti retrocedono in B, senza prove provate.

Ma Udine era in agguato. Legamenti esplosi, operazione, degenza, lungo tempo a riabilitare, a rieducare il ginocchio, fino a scendere in campo nuovamente, ma con timore, con la mente occupata da paure e indugi. La squadra lo sorregge fino a scoppiare a Verona e la Lazio allunga quel tanto che basta per approfittare di una partita a pallanuoto tra Perugia e Juventus. Del Piero aspetta il giorno della vendetta, che arriva, per un beffardo gioco del destino, proprio ad Udine, là dove la sua parabola si era interrotta. Insieme all’amico David Trezeguet, Ale confeziona la beffa più atroce che il fato riservi agli eterni rivali nerazzurri di Milano e si riappropria dello scettro della juventinità.

Mi attanaglia da sempre una domanda che rivolgo a me stesso e a chi ha preservato il cervello dall’ammasso del tifo becero: se non ci fosse stata Calciopoli, nell’estate del 2006 Del Piero sarebbe rimasto alla Juventus? Non ci sarà risposta né ora né mai, poiché Calciopoli ha distrutto una grande squadra, ma non lo spirito juventino di autentici campioni come Nedved, Buffon, Trezeguet, Camoranesi e… Ale. Da questi è rinata la speranza di tornare là dove la Juve ha diritto di stare. Più passa il tempo e più pare chiara la volontà di cancellare il bianconero, durante la buriana dell’estate 2006, dalla faccia della terra. Le recenti dichiarazioni del “burattinaio” Carraro indirizzano una luce sinistra sulla vicenda.

Ale c’era. A guidare la rincorsa alla serie A, a raggiungere la qualificazione alla Champions League da neopromossi, a beare il pubblico del Bernabeu, ad aumentare il suo score del più prolifico bomber juventino di sempre, dello juventino più presente, del più longevo dal dopoguerra ad oggi.
Fino al giorno in cui il suo giro del campo allo Stadium è stato il giusto commiato ad un popolo che ha riposto Del Piero in un angolo del cuore, senza se e senza ma.

Avremmo preferito sentire il suo leggero accento veneto pronunciare il fatale: “Mi ritiro, da bianconero!”, ma la sua quasi infantile voglia di giocare, ha fatto sì che la gloriosa parabola ripiegasse in Australia e poi in India. Va accettato, ma non ammesso. Davanti alla televisione di un bar, mentre a Tokyo Alessandro Del Piero abbagliava il mondo, in curva al suo debutto, stropicciandoci gli occhi mentre con la maglia dorata si faceva beffe di Casillas, si intuiva un altro finale. Aver visto un simile fuoriclasse ancheggiare in campionati dopolavoristici lontano da casa, lontano dalla Juve, lontano da scrivanie dirigenziali che vanno occupandosi, escludendolo irrimediabilmente, fa male. Anche la maglia col suo autografo che, incorniciata, occupa una parete dello studio si è spiegazzata dalla sofferenza! Eppure il rospo veneto che imperversa nello stomaco, va ripetendo: “Cossa voto: el xe sta bravo per lu, prima che par voj altri…” E il rovello non ha termine.

Immagine interna tratta da storiedicalcio.altervista.org e in copertina immagine in proprio

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