I numeri, lo sguardo, la crescita di Gonzalo Higuaín

Non poteva essere una storia qualunque, non poteva neanche fermarsi all’apparenza d’un abbraccio, all’inconsistenza di una rete al fil di sirena quando tutto s’è fatto quieto. Non poteva non essere Higuain, in questa Juve. Vuoi perché questa squadra ne ha un maledetto bisogno, vuoi perché lo stesso Gonzalo ha un mare dentro che è difficile da placare. Difficile, maledettamente e incontrovertibilmente difficile. Assolutamente non impossibile: perché basta far gol. Basta essere se stessi.

Poi nel mezzo ci va tutto il resto: ci vanno le corse a perdifiato, ci vanno i numeri, ci va quel mezzo sorriso quando sa che l’occasione era ghiotta e lui non così goloso come dovrebbe. Com’è. Battute sul sovrappeso, astenetevi.

NEL SANGUE

Si può crescere anche a trent’anni, soprattutto se è la vita a importelo. Si può e si deve reagire, combattere, avanzare mentalmente affinché il mondo non finisca per dimenticarti. Gonzalo ha la voglia di chi sugli allori s’è adagiato solo un secondo, e quel secondo gli è stato pure fatale. In Nazionale, in primis. Quindi in una Juve che girava su se stessa senza ritrovarsi a fine ballo. Un valzer infinito nella più triste delle scenografie, con il peggiore degli scenari. Toccava tornare al tango, in fondo.

E il tango, così come il gol, Higuain ce l’ha nel sangue: ché è vita, è sguardi, è movimenti perfetti. Che siano a uncino sul secondo palo, o soltanto smarcarsi in prossimità dell’area piccola: serve farsi trovare pronto, pulito, asciutto all’appuntamento più bello e importante. Quello con la rete. Quello che non ha mancato nel momento più importante, nel giorno della festa, della storia. Anche della sua storia. Cinquantesima in bianconero bagnata dal trentunesimo sigillo: e davvero c’è chi continua con la storia dei novanta milioni?

IL RISPETTO DI TUTTI

Il panorama ora è bellissimo. E forse è la sosta ad arrivare nel momento peggiore, ossia nel suo migliore: vedere l’Argentina scegliersi il futuro senza poter contare sul suo nome dovrà fare un male cane, ancor più quando sai di star bene, di poter fare la differenza. Quando la fai, senza ‘se’ e senza ‘ma’: soltanto correndo e segnando, segnando e correndo. Oggi Higuain ha toccato il pallone ottantacinque volte, ha fatto a sportellate, s’è inventato un sinistro chirurgico dove palo e traversa si ritrovano per una birra. E l’ha fatto con una disinvoltura che mette quasi i brividi.

Certo, son robe sue. Sono quello per cui è pagato, è quanto deve fare e allora tanti elogi valgono e devono valere il giusto. Ma quest’attitudine è altra storia, anche rispetto all’anno passato. Il fantasma di Gonzalo ha corso una maratona intera pur di adombrarlo, poi il Pipita ha premuto i tasti giusti. Quelli che l’hanno fatto crescere, di testa e di condizione. Quelli che han rincarato la dose della fiducia e dell’autostima. Quelli che di tanto in tanto, mentre s’accelera, te li perdi per la strada in quanto atto di meravigliosa arrendevolezza tipicamente umana.

Quando accade, non è necessaria ricerca di serenità: è solo una spinta nella direzione esatta, ciò di cui hai bisogno. Non era fondamentale ritrovare la pazienza, serviva esser pungolati. Poi l’albiceleste è un capitolo a parte, che va affrontato esattamente come lo sta approcciando il nove: facendo la differenza in campo. E allora, fantastico e umanissimo Gonzalo, sorridi e porta a casa. Pure la pausa, soprattutto la pausa. Perché guardandosi indietro non c’è occasione che si trasformi in rimpianto. Perché dopo le mille risposte date nell’ultimo mese, oggi le domande non hanno più senso o motivo d’esistere. Perché basta guardare quei numeri, quella voglia e quello sguardo: il resto conta quanto un gol a fil di sirena quando tutto s’è fatto quieto.

Cristiano Corbo

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