Non è un numero, non sono i gol o le giocate: Dybala fa la differenza con lo sguardo

Marassi è una bestia. È un buco infernale dove il talento si perde nelle zone del campo calpestate dai mastini della mediana, è un’arena che raramente s’infiamma di calcio nonostante il fuoco – quello sacro – di certe partite che non dovrebbero finire mai. Tra i gladiatori, Paulo Dybala ci sta alla perfezione. Tra i leoni, ci sta pure meglio. Ed è lo sguardo a fare la differenza, oltre al sinistro: l’argentino è dentro la partita com’è dentro al progetto, com’è dentro al suo futuro che continua a trasformare in oro brandelli di presente.

I gol, le giocate, quello stringere a sé il pallone e non pensare a nient’altro che a inventare. Non c’è passo della sua gara in cui il fine ultimo non sia quello di attaccare, di sorprendere l’avversario, di andare avanti. Di vincere, banalmente. Che poi banale non è. Con Dybala, non potrà mai esserlo.

TUTTA ROBA SUA

Questi non sono gli effetti della 10. Questi sono gli effetti di chi sa giocare a calcio, di chi ha impiantato sulle sue spalle il doppio della forza per reggere l’urto e la pressione di una squadra simile. Di chi col tempo continua a scherzare, come col pallone: prima lo bacia di punta, poi schiaffo tremendo. Poi ancora, un controllo docile docile, come se quella sfera gli appartenesse di diritto divino: altrimenti certi lampi non te li spieghi.

Altrimenti, non ti spieghi i cinque tiri in porta su cinque effettuati, non ti spieghi i quattro dribbling o le tre azioni da gol create dal nulla. Solo dal suo estro, dalla sua magia. Che si fa elegante poesia quando la realtà incontra sul finire d’esistenza quel terzo sigillo carico di meraviglia impressionista. Già, è tripletta. La prima con questa maglia, di sicuro non l’ultima. Perché questo è l’uomo che aveva segnato soltanto 2 reti in trasferta nello scorso anno, e perché oggi ha potuto realizzare sul proprio sinistro che ne ha già fatti sei in tre gare, tre alla prima trasferta di campionato. Ecco, così su due piedi: qualcosina è cambiata. Pardon: migliorata.

SONO IO, PAULO

Pogba bistrattava quel regalo cosciente della società con una somma di piccoli numeri e sensazioni. Dybala non ne ha mai avuto bisogno: sa che sopra quel numero c’è il suo nome, ma che davanti c’è soprattutto lo stesso stemma di sempre. E lui è lui, e Paulo è Paulo. Con dieci o senza, col ventuno o senza. Paulo è Paulo non per un numero, e forse nemmeno per le giocate: lo è per la faccia pulita e per la lucida cattiveria che scende in campo accompagnandolo per mano. È l’aver sofferto e il riscatto, è un passato che ritorna ma che non è più ingombrante: certi fantasmi, alla fine, sai che andranno via. Sai che puoi mandarli via.

Marassi è una bestia, la Juve l’ha sempre saputo. Per affrontarlo occorrerà ogni volta la stessa ricetta di sempre, lo stesso coraggio oramai accumulato sulla carta punti del ciclo d’oro. E per affrontarla, la bestia, la ricetta non è mai cambiata: ci vuole l’eroe. Non quello delle favole: quello del campo. Quello che non t’aspetti sul cavallo bianco, ma con un’accelerazione palla al piede; quello che non ha un amore da rincorrere, ma tutta la passione che vuoi. Quello che ha la stessa maglia e la stessa faccia: è cambiata solo la dimensione dei suoi orizzonti. Infiniti come il suo talento.

Cristiano Corbo

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