Stavo col livornese!

L’avventura di Max Allegri sulla panchina della Juventus delinea chiaramente i connotati del celebre moto del proiettile. Partito dai bassifondi degli apprezzamenti dei tifosi in quel rovente pomeriggio di luglio in cui si trovò catapultato in una realtà quasi impensabile fino a qualche ora prima ed arrivato poi in cima, fino a spodestare il suo predecessore dal cuore degli juventini. Forse però è vero, come disse Il Freddo in una puntata di Romanzo Criminale, quando sei arrivato in cima, puoi solo scennè. Si passa così da “Noi Allegri non lo vogliamo” ad “Allegri meglio di Antonio Conte“, fino ad arrivare, per qualche fantomatico motivo, al rinomato “Allegri vattene”, che spopola sul web dal dopo Cardiff.

50 VOLTE MAX ALLEGRI

Nato nell’agosto 1967, anno in cui si premedita la grande rivoluzione giovanile. C’è la voglia di distinguersi, essere diversi, rompere gli schemi col passato, spezzare quelle antiche tassonomie che avevano dominato la storia. Nato sotto una buona stella, questo è certo, ma porta con sé gli ideali rivoluzionari tipici del suo anno di nascita. Arrivato alla Juve in punta di piedi, ma col cambiamento già a stuzzicare qualche fantasia. E allora presto arriverà il momento di porre negli archivi la difesa a 3, in favore di quel rombo con Pirlo, Pogba, Marchisio e Vidal. Si scrive centrocampo ma si legge fantascienza e sarà proprio l’elemento chiave che porterà i bianconeri a Berlino, che fa rima con destino. Ed è però beffardo, così come a Cardiff 728 giorni dopo.

Cardiff è anche, nell’immaginario collettivo, la goccia che fa traboccare il vaso. La tentazione di lasciare, forse sì, lo aveva sedotto. Poi però ha deciso di restare. È una sfida con sé stesso e con chi, imperterrito, continua a criticarlo. Rigiocherei Cardiff o Berlino? No, voglio essere a Kiev. Stavolta per vincere. Dichiarazioni che lanciano un segnale forte. “Posso accettare la sconfitta, ma non posso accettare di rinunciare a provarci” disse una volta uno dei più grandi sportivi di sempre, Michael Jordan. Nei primi sei anni in Nba, Michael Jeffrey non vinse alcun titolo. In compenso, a fine carriera poté vantare di ben sei anelli. Lo score, al momento, conta 0 zero Champions League nel palmares dell’allenatore livornese. I numeri e le statistiche, però, esistono per essere aggiornati.

LA GESTIONE DELLO SPOGLIATOIO

La rincorsa verso la coppa di Kiev è carica di suggestioni ed incertezze. Al momento l’unico punto fermo è solo uno: Leonardo Bonucci non ci sarà. Polso fermo nello spogliatoio, questo è il suo diktat. Forse a qualcuno potrebbe non andar giù: in quel caso lo sgabello di Porto è sempre disponibile ad esser riscaldato. Il rapporto tra i due, forse mai idilliaco, si è logorato definitivamente nel finale di stagione, scandito da colpi di “co****ne” e “va******lo”. La società si è trovata davanti ad un bivio: ha scelto l’allenatore, ha scelto Max. Si auspica che questa sia la scelta più giusta: le sentenze spettano adesso al campo.

Oggi il nostro condottiero spegne cinquanta candeline. Nella notte delle stelle cadenti, l’augurio è che il suo astro possa ancora continuare a risplendere al servizio della sua Signora, portarla nella capitale ucraina, ma stavolta per conquistare l’Europa. “L’anno che sta arrivando tra un anno passerà”. E allora speriamo di poter festeggiare il cinquantunesimo compleanno con QUELLA COPPA in bacheca. Tanti auguri Mister!

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