La scivolata di “O’ Rey” e quell’enorme regalo fatto a Dybala

Molti di voi ieri, avranno letto le dichiarazioni che Edson Arantes do Nascimento – in arte Pelè – ha rilasciato nel corso di una trasmissione televisiva brasiliana, a margine dell’incontro amichevole disputato (e perso) a Melbourne dalla nazionale verdeoro contro l’Argentina dell’esordiente ct Sampaoli. Per la cronaca, “O’ Rey”, forse infastidito dalla prova incolore della Seleçao, ha pensato bene di dedicare le proprie attenzioni ad alcuni elementi dell’Albiceleste, su tutti, uno in particolare: “Dybala? Non è così forte come dicono. Qualcuno dice che potrebbe essere l’erede di Maradona, ma l’unica cosa che hanno in comune è il fatto di calciare con il piede sinistro“. Ora, lungi da noi sindacare il parere di un mostro sacro del calcio come Pelè, considerato al pari del “Pibe de oro” come uno dei giocatori più forti di tutti i tempi, e premesso che in questa sede consideriamo il talento di Dybala fuori discussione, crediamo tuttavia che queste parole, riprese in poche ore da tutte le testate sportive del globo (e ci mancherebbe), possano rappresentare un regalo incredibilmente prezioso per il gioiellino di Laguna Larga.

Hai voluto la bicicletta?

Questo innanzitutto perché un ragazzo dell’età di Paulo, arrivato sul palcoscenico del calcio che conta a soli 21 anni e reduce sì da due Scudetti e due Coppe Italia vinte in due anni, ma anche da due finali (Supercoppa Italiana a Doha e Champions League a Cardiff) perse non nel migliore dei modi, di tutto può aver bisogno in questo momento tranne che della pressione (soprattutto mediatica) generata dall’aspettativa di somigliare al Messi o al Maradona di turno. Spesso condannato ad essere decisivo, se non altro dal numero degli zeri presenti sul propriobaggio usa 94 contratto, nel corso degli anni ogni numero 10 (o “21”) che si rispetti, da Platini a Zidane, da Baggio a Pirlo, passando per lo stesso Maradona fino ad arrivare a Del Piero, ha avuto il suo personalissimo (qualcuno anche più d’uno) periodo “off”, fatto di alti e bassi, battute a vuoto e “assenze” in campo poco o per nulla giustificate. Chiaramente poi, in questi casi, maggiore è la bravura e la popolarità del ragazzo, maggiore, in maniera direttamente proporzionale, sarà il clamore che le sue prove sottotono potranno suscitare; ma è proprio in quest’ultima considerazione che vanno ricercati due elementi fondamentali dai quali la “Joya” ha la possibilità di ripartire alla grande.

1.Se tanto mi dà tanto

Non ce ne voglia Pelè – mito di un calcio non certo fatto di corsa, tattica esasperata e riflettori puntati H24 -, ma noi al suo posto, più che curarci dell’erba del vicino e di quanto quel verde rigoglioso sia più o meno autentico, impiegheremmo il nostro tempo a spiegare ai nostri “carissimi” amici interisti come mai astri nascenti delGabigol calibro del nazionale Gabriel Barbosa detto Gabigol (dove il suffisso “gol” ovviamente sta per “1 gol al Bologna”), venduto a peso d’oro dal Santos ai nerazzurri meno di un anno fa e presentato da Suning come il nuovo Ronaldo (il brasiliano, s’intende), dopo appena 11 presenze e 1 gol (a porta vuota) nello scorso campionato oggi sia a tutti gli effetti considerato dagli addetti ai lavori un vero e proprio oggetto misterioso, in procinto (pare) di essere spedito in prestito alle Isole Canarie (Las Palmas) per mettere qualche minuto nelle gambe e dare al mondo intero la dimostrazione del suo talento. Ma, tant’è, come dicevamo poc’anzi, se per far clamore la condizione necessaria e sufficiente è il reale valore del calciatore, allora probabilmente non ci si stupisca più di tanto se oggi stiamo qui a parlare di Dybala e non di Gabigol

 

 2.A fari spenti

L’essere umano si sa, per sua natura, riesce a dare il meglio di sé quando ha la possibilità e viene messo nella condizione ideale per esprimersi al meglio. E’ chiaro che se la mattina ci alzassimo e andassimo al lavoro con un faro costantemente puntato su di noi, chiunque noterebbe il nostro minimo errore, dalla frecciaGrosso Del Piero dimenticata mentre guidiamo, alla goccia di caffè versata inavvertitamente sulla ventiquattrore. Questo perché da un lato gli altri, vedendoci sempre arrivare, avrebbero l’attenzione massima puntata in ogni momento sulla nostra figura; mentre noi, dall’altro lato, sentendoci di continuo osservati, saremmo portati a sbagliare molto più facilmente. Per questo, ben venga un po’ di luce soffusa su “Paolino”, se non addirittura il buio: se c’è una cosa che i ragazzi dell’82 e del 2006 ci hanno insegnato, è che la determinazione, la voglia ed il sacro furore che l’essere ingiustamente sottovalutati riesce a scatenare, può rendere chiunque capace di qualsiasi impresa.

Il vero tifoso non cada nella trappola

Troppo facile, per un tifoso, esaltarsi per le vittorie, lasciandosi trasportare dall’euforia, così come, al contrario, deprimersi per le sconfitte, riversando le proprie frustrazioni sul capro espiatorio di turno. E’ un attimo. Ma stavoltaeduardo galeano no, ci dispiace. Questo è un gioco al massacro al quale ora proprio non possiamo e non dobbiamo prestarci. Che ci si fermi a riflettere, a respirare e a ponderare, anche per un giorno intero: Dybala non era il Dio del calcio fino a ieri, e non è diventato il nuovo Diego (sempre il brasiliano, s’intende) oggi. A tal proposito, giova ricordare come lo scrittore Eduardo Galeano, nel suo libro “Splendori e miserie del gioco del calcio” (Sperling & Kupfer, 1997), concluse il capitolo dedicato alla figura dell’idolo: “La fonte della felicità pubblica si trasforma in un attimo nel parafulmine del pubblico rancore. A volte l’idolo non cade intero. A volte, quando si rompe, la gente ne divora i pezzi“. Abbiate pazienza, la storia è ancora lunga: la Leggenda, è solo l’inizio.

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