Parla Berardi: “Ho il cuore nerazzurro. Vedevo il trasferimento alla Juve come un’imposizione”

A lungo obiettivo della Juventus, ma il treno, oramai, sembra essere andato. Domenico Berardi è uno dei talenti più importanti del calcio italiano, ma il suo futuro sembra oramai slegato da quello della Juventus. Due rifiuti, uno in fila a un altro, hanno fatto sì che Marotta e Paratici cambiassero obiettivi. Ma perché il “no” alla Juventus? Berardi lo ha spiegato in un’intervista alla Gazzetta Dello Sport. Di seguito i passaggi più importanti.

CUORE NERAZZURRO

“Sono nato con il cuore nerazzurro perché certe cose i genitori le passano ai figli e vinse la fede di papà Luigi e di mio fratello Francesco, non quella di mamma Maria che tifa Juve. Da bambino mi riempì gli occhi Ronaldo il Fenomeno, a 15 anni toccò a Milito: la sera di Madrid presi la mia bandiera e andai con gli amici a festeggiare. Ogni ragazzino che ama il calcio ha una squadra del cuore, no? Il mio tifo l’ho dichiarato in tempi non sospetti, ben prima che si iniziasse a ipotizzare l’Inter nel mio futuro. Normale: leggo che mi seguono, nel loro progetto ci sono nuovi acquisti e possibilmente italiani, per forza se ne parla. Ma io non ne parlo, a fine stagione si vedrà.

“ALLEGRI DEVE RINGRAZIARMI”

Allegri? Mi deve solo dire grazie. Dai, è una battuta… Però, a pensarci bene: il Milan lo ha esonerato, lo ha preso la Juve e oggi è lì che ha vinto tutto e può vincere anche la Champions. Non ci ho mai parlato, dopo quel giorno. Non è capitato di incrociarci se non in campo, dunque non mi ha mai detto “Mannaggia a te” e io quella sera, saputo dell’esonero, non pensai “Mimmo, visto che hai combinato?”. Allegri era il primo a sapere come vanno certe cose nel calcio, soprattutto se fai l’allenatore: sbagli 3-4 partite e ti ritrovi fuori. E poi, mi scusi, avevo appena fatto quattro gol al Milan: pensavo solo a godermela, no?

IL NO ALLA JUVENTUS

” In realtà, per come lo dissi io, non fu un no: era un sì al Sassuolo, il sì che a loro fra l’altro non avevo mai detto. Eravamo appena andati in Europa League: volevo giocarla con i compagni con cui me l’ero presa, volevo crescere un altro anno. E poi sì, è vero: a me piace tanto giocare e poco fare quello che mi dicono di fare. La Juve non mi ha costretto a far nulla, ma spingeva molto perché andassi: per me era una specie di imposizione. E quanto avrei giocato? Mi avrebbe fatto bene tanta panchina, così giovane? Confesso, aver visto l’esempio di Zaza un po’ ha pesato: ho contato i minuti che Simone aveva giocato lì, e ho tirato il freno”.

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