Leo Bonucci è stato una lezione di vita

A denti stretti. A muso duro. Con la faccia cattiva di chi deve riscuotere qualcosina dal karma, ma anche con la testa giusta per resistere agli attacchi, alla pressione, alle parole tanto gratuite quanto infamanti. C’era un mare di risposte da dare: Leo Bonucci ha nuotato fino a riva, attraversando le chiacchiere e annientandole bracciata dopo bracciata. Senza guardarsi indietro.

LEZIONE DI VITA

Che poi, preso dalle mille sfumature del match, Leo l’ha pure dimenticato: non è tornato lì dietro con la solita esultanza, ha preferito spronare e sibilare forza ai compagni. E c’era rabbia, in quell’abbraccio al pallone. Come ce n’era sul colpo di testa scaraventato alle spalle di Karnezis, come ce n’era nell’istante in cui aveva realizzato la doppia prodezza di Duvan: che prima l’ha annientato a colpi di bacino e sbracciate, e poi si è fatto immortale bucando Buffon tra le gambe. Indigesto. Bastardo, poi: nei tempi e nei modi. Di sicuro, uno sgambetto dall’alto volto a ricordagli che di tracotanza non si campa mai bene.

Sarebbe potuta terminare anche lì, in fondo. O peggio: perché quel contropiede salvato con la punta dell’ultimo tacchetto, in effetti, è un messaggio chiaro, forte, preciso e puntuale. L’ultimo baluardo non molla mai. Nemmeno quando tutto sembra precipitare.

RIALZARSI

Sempre. Comunque. Ovunque. Bonucci si è rialzato dopo il duello con Zapata. E ancor prima l’ha fatto dopo il faccia a faccia con Allegri, dopo la conseguente tribuna, dopo i primi novanta minuti filati lisci ed eleganti come il suo modo di stare in campo. Eppure brucia ancora, ancora oggi. Forse anche troppo: è che l’orgoglio, per lui, è sempre stato un toccasana. È ciò che l’ha reso immenso, ciò che l’ha consacrato. Ciò che ha sempre marcato la linea mai sottile tra il diciannove e i suoi colleghi: perché crederci, ecco, è sempre il primo passo per riuscirci. E per quanto spesso possa nascondere e confondere i limiti di se stessi, non c’è stato attimo in cui dubitare gli sia sembrato giusto.

Accettarsi, perdonare, ricomporsi e tornare grandi: il percorso è stato netto, silenzioso, intelligente. Sembrava la fine di ogni cosa, e invece ci si ritrova qui a raccontare un altro inizio, un’altra pagina, un’altra vita. Il pareggio, paradossalmente, quasi passa in secondo piano. Il figliol prodigo non è solo tornato: ha già regalato gli sprazzi migliori di sé. Come quell’immagine inequivocabile catturata nel momento del pareggio: denti stretti, muso duro, faccia cattiva. E talento pazzesco.

La trasferta di Udine non sarà mai la stella più luminosa, non nel limpido cielo di questa stagione con pochi patemi. Ma Leo Bonucci la ricorderà per sempre: perché quando realizzi di essere di nuovo in piedi, ogni mezzo passo falso sembra un punto minuscolo in un foglio tutto da scarabocchiare. Perché quando realizzi di essere di nuovo in piedi, non esistono più mostri da combattere: ci sei tu, la tua voglia, i tuoi piedi. E un’altra strada da percorrere, e un altro sogno da inseguire: ché la meta non è mai troppo lontana. Non se ci credi davvero, non se fai del tuo lavoro una ragione d’esistenza. Non se appartieni visceralmente a questi colori.

Cristiano Corbo

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