Quelle mani, di cui non ci stancheremo mai

Le mani sono creazione. Le mani sono distruzione. Le mani, tutte le mani, sono il centro focale di ogni uomo. Dalle mani nasce la vita e dalle mani può finire. Le mani sono l’amore, fanno l’amore. Dalle mani nasce l’arte e la razionalità, lo yin e lo yang. Tra le dita delle mani, probabilmente, c’è la magia. È quella che ci permette di far tramutare il pensiero in atto.

Gianluigi Buffon, oggi, guarderà le sue mani. Le ha usate come uno scalatore per arrivare sulla vetta del mondo. Gigi le guarderà e potrà dirsi soddisfatto, perché ce l’ha fatta. E ce l’abbiamo fatta noi con lui, un po’. Perché è il sogno di grandezza che abbiamo tutti dentro, fatto realtà. Attraverso le mani, quelle mani che da anni sono uno scudo indistruttibile.

Gigi ci piace, sì, anche a trentanove anni. Ci piace perché, dopo aver vinto di tutto, è rimasto quello di ieri, in fondo. È rimasto il ragazzino guascone, quello di Parma, che poi è diventato un uomo. Uno di quelli dalle spalle forti, il carattere deciso e il sorriso sempre pronto.

Gigi ci piace, e tanto, perché è rimasto un uomo. Con i suoi vizi, le sue debolezze e le sue cadute. Ha saputo risollevarsi dal baratro, come pochi sanno fare. L’ha fatto, da solo, quando tutto intorno era buio. Quando era perso in un tunnel senza fine. Senza aria. Oppresso dallo stesso cielo che aveva toccato con un dito.

Evadere da una cella fatta di incubi, paranoie e ansie è da pochi. Le sbarre, che hanno la forma di demoni mai vinti, sono sempre troppo resistenti. Invece, no: le mani di Gigi, forti a dismisura, le hanno piegate. Hanno piegato un mostro che ha un nome, terribile: depressione.

Ecco, sì: dopo aver piegato quel mostro, tutto fa meno paura. Non è vero che non se ne ha più, ce lo insegna anche Buffon, ma la paura è un sentimento umano. Vince chi la sa affrontare a viso aperto e, in questo caso, a mani calde.

Buffon, a Berlino, dice ‘no’ a Zidane

Quelle mani hanno fermato Pippo Inzaghi, ma non è bastato. Hanno fermato Zinédine Zidanee, allora sì, è bastato. Poi hanno respinto lontano un avversario temibile, il più difficile. E sono diventate invincibili, mentre Gigi diventava leggenda.

Gigi, poi, ci piace perché è un mito concreto. È un mito che dà l’esempio. È uno che ci mette la faccia, sempre, senza nascondersi. Soprattutto quando si tratta di difendere la sua Juventus. Anche se difenderla vuol dire prenderla con le brutte.

Buffon a Rimini

Lo ha fatto a Rimini, dopo la prima in B, quando tutti erano scappati. “Ci vuole il coltello fra i denti”, disse lui, che due mesi prima era padrone del mondo.

Lo ha fatto a Reggio Emilia, quando il sogno sembrava finito: “Con la maglia della Juventus, se non si ha voglia di lottare e sudare, si rischiano figure peggiori che con qualunque altra maglia”.

Rimini e Reggio Emilia sono vicine, ma agli antipodi nella storia bianconera. Il filo comune è proprio Buffon, sono le sue mani: un porto dove trovare riparo, nel mezzo della tempesta. Le stesse mani che hanno risollevato un popolo dal fondo. Più di una volta e, siamo sicuri, sarebbero pronte a rifarlo.

Gigi, insomma, ci piace davvero da morire. Contro tutti quelli che “Buffon è finito”. Buffon non finisce, Buffon è una poesia eterna, un quadro senza tempo: è arte. Buffon rimarrà nella storia, perché lui, la storia, l’ha scritta. Con le sue mani. Auguri, Gigi.

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