Il “Carro del vincitore” e la coscienza critica

Da qualche tempo, ormai e purtroppo, è invalsa nella vasta platea della tifoseria juventina una deplorevole pletora di corrosive lacerazioni. Esse hanno prodotto schieramenti e correnti di pensiero a sostegno degli stessi così esacerbate, che le partite di Madama, e tutto quanto concerne le sue vicende, sono assunte a pretesto di litigi insanabili improntati alla più becera intolleranza.

Queste divisioni hanno altresì generato un florilegio d’intimazioni d’accatto, in forza delle quali molti si sentono in diritto di poter stabilire cosa sia lecito dire o tacere, dove debba andare oppure no, cosa merita e chi debba tifare, chiunque non si allinei alle opinioni altrui. Veri e propri fescennini elaborati e inscenati sul palcoscenico di un’ignoranza crassa che l’anonimato e l’impunità offerti dai Social Network incoraggia in modo esponenziale.

Nell’ambito di questo “stupidario”, quello per il quale ogni scostamento dal pensiero unico è la prova provata di un’eresia da disprezzare e condannare con l’interdizione allo Stadium e di parola per chiunque osi non sacrificare valori, priorità, onestà intellettuale e financo l’intelligenza sull’ara dell’omologazione e non abbia bisogno di appartenere a un gregge per dignificare la propria individualità (bandwagoneffect), si staglia, fra le altre, la nota locuzione “Poi, non salire sul carro”.

Orbene, i fautori della cogitazione coatta ignorano del tutto che il ricorso al suddetto atto perlocutorio denuncia impietosamente che non sanno quel che dicono, giacché, il diritto a salire sul cosiddetto “Carro del vincitore” (diventato cocchio nel VII secolo, con l’avvento dei Tarquini) del quale si sentono tutori, storicamente è sempre stato loro precluso, perché riservato di diritto alle seguenti figure:

il vincitore, ergo, il generale che avesse conseguito un’importante vittoria da celebrare con una cerimonia pubblica detta “trionfo”; il padre, i fratelli, qualche amico intimo del trionfatore e…pulman

udite udite, un umile, uno schiavo addetto a tenere la corona d’alloro sul capo del festeggiato e incaricato di sussurrargli, nel momento culminante, le seguenti parole: -“Respice post te! Hominem te memento!” (“Guarda dietro te! Ricordati di essere un uomo!”).

In altri termini, l’uomo più vicino all’osannato doveva esercitare la funzione di coscienza critica! Quella che gli iloti della concettualità precotta vorrebbero così tanto, spasmodicamente, addirittura disperatamente, debellare. Ahahah!

Tutti gli altri, e sottolineo tutti, si limitavano a formare un eterogeneo corteo.

Pertanto, quanti per la marchiana ignoranza di cui quasi vanno fieri si considerano passeggeri pur non avendone titolo e si arrogano la facoltà d’indicare chi è meritevole di vantare tale inesistente requisito, meditino: soprattutto sulla circostanza che, di questi tempi, non hanno neppure potuto giovarsi della soddisfazione di accalcarsi, come massa indistinta, per veder sfilare il “loro” prezioso carro, oggi pulman, dopo le ultime vittoriose campagne peninsulari.

Tanta è la considerazione di cui godono presso chi, davvero, è legittimato a disporne…

Augh!

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