Una Casa con fondamenta molto profonde

Abbiamo da pochissimi giorni celebrato il quinto compleanno della nostra splendida Casa. Si scrive Juventus Stadium, si legge stadio ma anche J-Museum, J-Medical, J-School, Area 12 e a breve J-Village. Un piccolo universo, se preferite un minimondo. Minimondo che ha un artefice preciso, un ex dirigente della Juventus, uno dei più “illuminati” della storia bianconera che risponde al nome di Antonio Giraudo.

LUNGIMIRANZA E PROGRAMMAZIONE – Due parole che nel mondo dello Sport vanno spesso di pari passo con vittorie e soddisfazioni, ma che non sempre sono applicate operativamente in maniera corretta. Il nostro ex Amministratore Delegato al contrario era maestro in questo, quasi all’avanguardia per il mondo dello Sport italiano e soprattutto per il calcio, che dalla seconda metà degli anni ’90 ha iniziato un declino nel quale ancora si trova invischiato e dal quale non sembra riuscire a uscire almeno in tempi brevi. Se la Juve in questo momento è non solo la squadra, ma anche e forse soprattutto la Società di riferimento del pallone tricolore, molto del merito va attribuito proprio a Giraudo. L’AD iniziò fin dai suoi primi tempi juventini a gettare le basi di un progetto che impiegò quasi 15 anni per vedere la realizzazione completa, peraltro in una veste poi ancora differente da quella da lui ipotizzata. Correva l’anno 1994 (sì, oltre vent’anni fa!) e Gianni Agnelli non aveva mai smesso di lamentarsi del Delle Alpi e della sua scarsa visibilità, al punto da disertare niente meno che la finale di Coppa Uefa dell’anno precedente dicendo addirittura di preferire la TV piuttosto che vederla da così lontano. Retaggio dei Mondiali del 1990, l’ex stadio di Torino aveva una struttura esterna davvero bella, ma in nome dei finanziamenti aveva tra campo e tribuna l’odiata (e peraltro mai utilizzata) pista di atletica, che in un impianto calcistico non c’entra e non serve a nulla. La battaglia iniziata da Giraudo in quel lontano 1994 ha portato a continui dialoghi col Comune, con società investitrici, con Studi di architetti che iniziarono a proporre alternative alla situazione. Lo stesso AD apprezzava la struttura in sé, se è vero che i primi progetti da lui suggeriti prevedevano di mantenere intatto l’involucro esterno e di scavare in qualche modo all’interno per avvicinare gli spalti al campo.

NUMERI DEVASTANTI – L’importanza di questo progetto pensato 20 anni fa e diventato operativo dalla stagione 2011-2012 è evidente nei risultati sportivi ed economici. Al di là del grandissimo appeal che esso esercita sui tifosi (percentuali di riempimento sempre abbondantemente superiori al 90%) e dei conseguenti Banner_editoriale_Dario_Ghiringhelli1ricavi che rimangono alla società da biglietteria e merchandising interno, ad esso si aggiungono tutti gli introiti delle aree intorno, con il fatturato che è cresciuto in maniera esponenziale proprio a partire dal primo anno di utilizzo dello Stadium. Se da un lato è vero che in una grande Società sportiva i risultati economici devono essere il più possibile slegati da quelli del campo, è altrettanto vero che i secondi trascinano inevitabilmente i primi in una sorta di volano. Ed ecco allora che non si può non notare come la Juve tra le mura di casa sia diventata una specie di corazzata: su 131 partite giocate allo Stadium da quando esiste sono arrivate solo 5 sconfitte a fronte di 126 risultati utili, di cui addirittura 101 vittorie per una percentuale del 77%. Percentuale che ieri sera poteva essere ritoccata leggermente verso l’alto, mentre il pareggio contro il Siviglia lascia un po’ di amaro in bocca pur lasciando intoccato il dato delle sconfitte. Insomma, battere la Juve in casa sua è diventata una specie di impresa titanica, una sorta di sfida impossibile.

L’attuale Stadium in realtà nasce dalle ceneri del vecchio Delle Alpi, che come una fenice è stato fatto risorgere a nuova e più fulgida vita, richiamandone però in maniera evidente l’impostazione strutturale, con i due pennoni dietro le curve che ne sono diventati (anzi rimasti) il simbolo. Per quanto il progetto iniziale non fosse esattamente questo, di sicuro questi erano gli intenti di quel signore che nel lontano 1994 fu definito quasi un visionario. Perché se è vero che Roma non si costruisce in un giorno, Antonio Giraudo deve aver pensato che se non si mette la prima pietra non si costruisce nemmeno un muretto di cinta. Ci son voluti 15 anni, è nato una specie di fortino.

Dario Ghiringhelli (@Dario_Ghiro)

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