L’insostenibile pesantezza del perdere, se vince la Juve…

Ci siamo, è bastata una pessima direzione arbitrale, peraltro spasmodicamente attesa, per aizzare una famelica canizza mediatica frustrata da mesi di vittorie juventine, talvolta non limpidissime sul piano del gioco, ma sempre indiscutibilmente scevre di quegli errori che i sicofanti dell’informazione amano definire “aiutini” quando a favore e ridondanti invece di “sviste” penalizzanti da censurare prontamente, con maggiore ributtante noncuranza, soprattutto nel caso in cui, a beneficiarne, sia stata la concorrenza.

Trattasi di un “giochetto” datato e financo scoperto, che nonostante la banalità della pratica e la solarità del proposito riscuote ancora un indiscusso successo, nonché immediata adesione, in quella parte della popolazione italiota, ahimè piuttosto larga, che per ampi limiti intellettivi e culturali, ben consolidati dall’atavica abitudine ad accogliere come verità rivelata qualsivoglia orientamento esterno ne titilli le frustrazioni, ama delegare a terzi la giustificazione dei propri fallimenti e canalizzarne l’insostenibilità in un consolatorio onanismo cerebrale il cui acme, nel caso di specie, si raggiunge invariabilmente con l’eiaculazione di un mantra d’annata: “la Juve ruba”.

Il belato degli innocenti, per quanto non totalmente trascurabile, è tuttavia solo la plastificazione di una causa artatamente generata in provetta, giacché sarebbe sciocco ascrivere all’animale, anziché a chi ne è custode, la responsabilità di aver sporcato dove non dovrebbe.

Il “comune sentimento popolare” non germina spontaneamente, è una coltura artificiale, a chilometro zero, che attecchisce, nel football come in altri contesti sociali, quando le condizioni ambientali sono così irreversibilmente corrotte da permettere a un manipolo di logoteti e ai loro manutengoli di farsi beffe della realtà fattuale e dei contenuti da essa proposti, svilendone il significato con il ricorso a quella tecnica di delegittimazione ben sintetizzata nella celebre massima di Goebbels Ripetete una bugia cento volte, mille volte, un milione di volte, ed essa diventa una verità”, al solo scopo di indirizzare il corso degli accadimenti nel senso desiderato. Campionato falsato

Poiché, come sosteneva Gianbattista Vico, la storia ha un paradigma che ne regola fasi e sviluppo in modo tale da indurne il ripetersi degli eventi, è cogente mantenere altissima la soglia dell’attenzione. All’uopo, nonostante l’acclarata estraneità alle conventicole che reggono il sistema calcio e l’inesistenza di qualsivoglia supporto credibile dedito alla distrazione di massa, sarebbe cosa buona e giusta che Juventus F.C. S.p.A. levasse “una tantum” la propria voce, con toni fermi e chiari, in difesa della propria onorabilità non soltanto sportiva, stante il dettaglio, affatto irrilevante, della quotazione nella Borsa valori più isterica del pianeta.

Una volta tanto. Giusto il necessario per far sì che il ruggito della leonessa zittisca e disperda i cani che ne attentano la prole e per riaffermare il concetto che nessuna distorsione capziosa può alterare la veridicità delle inequivocabili risultanze sancite dal rettangolo verde.

Allusioni e contraffazioni operate da turiferari e corifei prezzolati a vario titolo sarebbero smantellabili in un fiat. Basterebbe metterli spalle al muro ( del loro pianto ) per far crollare miseramente il teorema che vogliono perorare senza poterne esplicitare, per ovvie ragioni, la conclusione finale, cioè: che la capolista è tale solo perché si avvale di deliberati vantaggi arbitrali, senza i quali non potrebbe competere con la squadra occasionalmente eretta a vessillifera del sistema, a onta del fatto che non primeggia perché, a oggi, non lo merita.

La ciambella di salvataggio dell’insinuazione distillata ad arte, in campo prestipedatorio si chiama sudditanza psicologica; la stessa limitazione che induce i seminatori della gramigna mediale a prostituirsi intellettualmente, autorizzando certi lenoni a considerare un valore la propria imbecillità.

Come naturale, il mondo esterno restituisce il riflesso di quel che giace nell’animo di chi guarda, e se questo è lutulento, il risultato non potrà essere che sgradevole e generare un immediato disconoscimento con relativa attribuzione ad altri delle proprie manchevolezze.

Ma cos’è la sudditanza se non la condizione dei sudditi? Come potrebbero invocarla e/o imputarla ad avversari annichiliti o alle giacchette gialle se non ne fossero essi stessi affetti? In punta di fatto, l’unica signoria che gli arbitri ossequiano, nei modi e nei termini adeguati alla grandezza del loro ego, è quella afferente alle loro aspettative di carriera che, come noto, dalla stagione 1 d.c. ( dopo calciopoli ) sono direttamente proporzionali all’attenzione e alla cura spese per evitare un abbaglio pro Juve, che non incide sul curriculum solo quando la zebra evita di mostrare le terga ai perdenti d’elezione.

In verità, piaccia o non piaccia a chicchessia, la Signora dei campionati ha vinto, vince e vincerà perché è stata, è, e sarà, intollerabilmente più forte anche dell’invidia che logora quanti, pur disputando la miglior stagione della loro miseranda o inesistente storia, debbono invariabilmente rimandare all’anno seguente ogni velleità di gloria spicciola e perdurano nella totale inconsapevolezza che, qualora un capriccio di Eupalla li accontentasse, siffatta evenienza sarebbe comunque ricordata soltanto come l’incidentale circostanza in cui Madama, per demeriti propri o interferenze extra regolamentari, ha dovuto concedere lo scudetto in comodato d’uso.

In ordine a queste ultime, dato che calciopoli sanguina ancora e Perugia non è del tutto asciutta, auspichiamo che l’assordante silenzio vigente in corso Galileo Ferraris sia strategicamente volto a uno stato di massima allerta, perché anche l’eccesso di signorilità, talvolta, presta il fianco a interpretazioni equivoche; tra le fila di chi ha già dato e di chi ha già preso o spera ora di riuscire a prendere…

EzioMALETTO ( Twitter @EzioMaletto )

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