La notte dei sogni, degli incubi, delle certezze

Canalizzare le emozioni dovrebbe essere considerato un super potere a tutti gli effetti. O almeno dovrebbero inventare una dannata app per dirti come ti senti, perché te lo senti. È una continua lotta col tuo intestino, con l’ultimo brandello di lucidità che proprio non vuole staccarsi. Gli arbitri, il contropiede di Cuadrado, la palla tagliata di Douglas Costa: le immagini passano, si bloccano, poi tornano a correre veloce e a ripiombarti addosso con la stessa veemenza, con un nuovo carico di perfidia.

È che fa male. Banalmente, semplicemente, irrimediabilmente. E l’unico super potere che realmente vorresti avere è allora quello di mantenere la calma, di non farti sempre vittima delle sensazioni. Macché: contro natura ci finisci solo con le urla, con la speranza, con gli occhi lucidi chi ha paura pure di crederci. Maledetto Pogba, maledetti Morata e la sua serpentina. E mannaggia Cuadrado: col suo gol meraviglioso, con quell’altro che sfiora. E che avrebbe chiuso anche il rubinetto dei ‘se’, dei ‘ma’, dei ‘davvero?’.

È stata la notte dei sogni, però di quelli che si bloccano sul più bello. Magari con le urla di tua madre dritte a perforare i timpani: è tardi, c’è da alzarsi, da affrontare un altro giorno e la solita realtà. Che non è bianca, e nemmeno nera. Si fa di quel grigio che porta dentro di sé tutti i colori della passione, tutti gli umori di una notte tremenda in ogni possibile accezione. Quasi a voler mischiare quel ch’è stato con quel che sarebbe potuto – e forse dovuto – diventare. Altro gioco al massacro: il tuo. Dilaniante.

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È stata la notte dei sogni, sì. Lo è stata comunque. Perché fatta di pressing talvolta alto, di testa sempre altissima. Perché fatta di concretezza e gioco meraviglioso. Perché fatta di uomini, delle loro storie: coi riscatti solo da incassare, con le risposte di una serata che parte priva di certezze e termina con un carico impressionante di sentenze. La prima, incredibile, parla di gap infinito e ne ride fragorosamente. La seconda, invece, si divora le mani e ripensa alle regole non scritte del calcio: che alla fine vince sempre chi sbaglia di meno, e da lì non scappi. O meglio: non riesci per più di 89 minuti.

Il giorno dopo è confusione e rassegnazione, la botta d’adrenalina che svanisce e forse ti saluta per andarsene in vacanza: di tanto in tanto, ha bisogno pure lei di riposo. Il giorno dopo è subito il pensiero alla prossima partita: che tuttavia diventa lieve, distaccato, quasi infastidito. Come si può tornare ad amare il calcio dopo una beffa simile? Sembra pura follia, ma per un istante tutto ciò ha fatto parte del cuore di ogni juventino. In fondo, basterà una semplice accelerazione palla al piede, una giocata di fino e l’atmosfera delle grandi occasioni. Però questo, questo scherzo del destino, questo balordo tranello di quel buon dio del calcio, è destinato a diventare una ferita aperta, spalancata e portatrice sana d’infezioni virali. Non si sanerà all’istante, ci vorrà tempo. E ci vorrà pazienza nell’aspettare e nell’evitare un’epidemia di teste basse.

La notte dei sogni, ancora. Sogni che diventano incubi, dai quali comunque occorre paradossalmente ricavare certezze. La Juve c’è, ha talento ed organizzazione. E soprattutto: ha cuore. Tanto.
Ecco: ora fa male, ne farà ancora per un po’. Ma alla fine, tocca prenderla con filosofia e sorrisi tirati: da qui in avanti, questa squadra non avrà paura di nessuno. Nemmeno di se stessa. Un passo in avanti, uno di quelli enormi.

Cristiano Corbo

 

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