ESCLUSIVA SJ – Pippo Russo: “Vi spiego cosa significa ‘Tpo’ e come la Fifa cerca di bloccarli. Un ex Juve è tra gli esempi più lampanti…”

Oltre al rettangolo di gioco, nel calcio, c’è di più. Molto di più. Ci sono le Tpo, ad esempio: società che sanno di scatola vuota, ma allo stesso tempo capaci di inchiodare sotto contratto giocatori d’ogni tipo. Ci sono i fondi d’investimento, poi: da Nelio Lucas – ricordate gli screzi con Galliani? – CEO del fondo Doyen, fino ai rapporti interpersonali tra società di tutt’Europa che si fondono nel calderone del calciomercato.

Ecco: per capirne un po’ di più, abbiamo contattato Pippo Russo di calciomercato.com, tra i massimi esperti del “lato oscuro” del nostro gioco. Leggete attentamente cosa ci ha raccontato…

Sentiamo parlare sempre più spesso di Tpo, queste quasi mistiche società che controllano calciatori in giro per il mondo. Ma, in parole povere, cos’è una Tpo? E perché detengono tutto questo potere?
Bisogna innanzitutto spiegare cosa significhi la formula TPO, e in cosa si distingua dalla formula TPI che spesso le viene associata. Entrambe si riferiscono a situazioni in cui un soggetto finanziario esterno ai club acquisisce una quota dei diritti economici su un calciatore, cioè compra il diritto a guadagnare nel momento in cui il calciatore verrà ceduto. La prima formula, TPO, sta per Third Party Ownership, e indica una situazione in cui un soggetto finanziario (un fondo d’investimento, un investitore privato, una banca) compra dal club A una quota del giocatore X: esempio pratico, Doyen Sports Investments che compra dal Porto un 80% dei diritti su Yacine Brahimi, come è accaduto nell’estate del 2014. In questo caso il fondo diventa proprietario (owner) di una quota dei diritti economici sul calciatore, e quando il calciatore verrà ceduto riscuoterà quel diritto di proprietà. Rimanendo all’esempio riportato, Doyen incasserebbe un 80% (successivamente ridotto al 50%, perché il club ha ricomprato dal fondo il 30% dei diritti) della futura vendita di Brahimi realizzata dal Porto. La formula di Third Party Investment (TPI) è invece quella in cui l’attore finanziario aiuta un club a acquistare un calciatore finanziandone una quota: esempio pratico, Doyen Sports Investments che nell’estate del 2012 ha finanziato al 50% l’acquisto di Ola John del Twente da parte del Benfica. Ancora una volta, il fondo avrà diritto al 50% della cifra quando Ola John verrà venduto dal Benfica. Sulla differenza fra le due formule hanno insistito gli attori finanziari che investono in diritti economici di calciatori, sostenendo che loro fanno TPI e non TPO, cioè che loro non sono proprietari di calciatori ma si limitano a finanziarne parte dell’acquisto. Ritengono sia questo un modo per rendere più presentabile la loro azione, ma la verità è che se si guarda all’aspetto cruciale le cose non cambiano: e l’aspetto cruciale riguarda il fatto che denari prodotti dentro il calcio vengono portati fuori dal mondo del calcio. Il mondo del pallone viene trasformato in un incubatore finanziario, un campo dove lo sport diventa un fenomeno secondario e si pensa innanzitutto a produrre denaro a mezzo di denaro.

Quali sono le mosse operate dalla Fifa e dall’Uefa per arginare questo fenomeno? E, al momento, sono state manovre utili?
La Fifa ha dapprima inasprito, nel 2007, l’articolo 18 del regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori, dedicato proprio a vietare il ruolo delle terze parti. Poi ha emanato la Circolare 1464 del 22 dicembre 2014, che ha messo definitivamente al bando le TPO a partite dal 1° maggio 2015. E per chi contravviene sono scattate le prime sanzioni: come è successo ai belgi del Seraing, che si è visto comminare un blocco del calciomercato in entrata per quattro sessioni, e gli olandesi del Twente che sono stati esclusi per tre anni dalle coppe europee. Ma ciò non è servito a arginare le manovre dei soggetti che commerciano in diritti economici di calciatori. Questi soggetti stanno trovando le contromisure comprando piccoli club attraverso i quali smerciare i calciatori sotto il loro controllo, o diventando consulenti di mercato. Sono in corso anche spericolate manovre di cartolarizzazione, sui mercai Usa, dei futuri introiti di allcuni club provenienti da diritti televisivi e cessioni di calciatori. Siamo praticamente ai subprime, e questa potrebbe essere una forma mascherata di TPO.

Leggendo le tue inchieste, si scopre come anche la Juventus abbia avuto modo di entrare in contatto con queste società: quanto hanno inciso le Tpo nel calciomercato bianconero degli ultimi anni? Quali sono i casi più eclatanti?
Si può parlare di un caso esplicito: quello di Marcelo Estigarribia, che è giunto alla Juventus dal Deportivo Maldonado, un piccolo club uruguayano dal quale transitano grandi calciatori sudamericani per essere immediatamente rivenduti. Si tratta dello stesso club al quale è stato ceduto Jonathan Calleri, l’attaccante argentino del Boca Juniors che a gennaio avrebbe dovuto andare all’Inter. Tornando a Estigarribia, nel corso di un’intervista rilasciata a Sportweek a settembre 2014 ha dichiarato di essere assoggettato a un fondo d’investimento che di anno in anno lo dà via in prestito a 500 mila euro, e sarebbe pronto a cederlo per 5 milioni. E questo spiega come mai il giocatore abbia cambiato continuamente club. C’è poi da chiarire il caso di Rogerio, parcheggiato al Sassuolo. La stampa brasiliana ha raccontato nelle scorse settimane che parte dei suoi diritti fosse in possesso di Doyen.

Nel tuo libro, “Gol di Rapina”, parli del Locarno, una società svizzera che ha acquistato Higuain nel 2007 per girarlo poi al Real Madrid: cosa ci puoi dire su questa vicenda? E, data la situazione economica delle nostre società, l’Italia corre il rischio di diventare un altro “paradiso delle Tpo”?
Il Locarno è un stato un bridge-club, una società ponte dalla quale fare effettuare passaggi intermedi a calciatori prima di farli giungere alla destinazione definitiva. Attraverso questi club venivano (e vengono tuttora) effettuate le “triangolazioni”, cioè manovre che consentono ai club argentini di eludere un livello di tassazione nazionale molto elevato e ai fondi d’investimento di sfruttare le situazioni di difficoltà in cui si trovano questi club per mettere in atto forme di controllo più o meno occulto. Quanto all’Italia, c’è sicuramente una grave sottovalutazione del fenomeno, e questa sottovalutazione è una condizione favorevole per chi vuole alimentare queste forme dii economia calcistica parallela.

Se Pippo Russo avesse la possibilità di parlare di questo problemi col nuovo presidente della Fifa, Gianni Infantino, cosa gli chiederebbe?
Da segretario generale dell’Uefa, Gianni Infantino è stato uno dei dirigenti più impegnati contro fondi d’investimento e TPO. Gli chiederei di non mollare, e far compiere un ulteriore passo avanti: rendere completamente pubblici i contratti di compravendita di calciatori fra i club, e quelli stipulati fra i club e i calciatori. Bisogna che tutti vedano dove vada il denaro e quante commissioni vengano pagate agli intermediari.

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