Vittoria o sconfitta non importa: lo stile-Juve è tutta un’altra cosa

Ci sono giorni in cui i risvegli appaiono impossibili da affrontare. Nei quali il sole è coperto dalle nuvole. E piove. Le nubi, poi, più nere della pece. Nessun raggio solare tra quei cumuli ombrosi che si intravedono all’orizzonte. Insomma, niente. il Day After di Napoli-Juventus, lo scorso settembre, potrebbe venire descritto con questo scenario. Insigne e Higuain smontarono tutto un castello reale juventino, edificato ormai da quattro anni. Dei paladini bianconeri, al “San Paolo”, alcuna traccia.

Torniamo adesso ai giorni nostri. Simone Zaza entra e, con prepotenza e un pizzico di fortuna, infila Pepe Reina sfoderando il suo sinistro velenoso. Ed è gol. L’urlo della vendetta calcistica si manifesta. Non solo Buffon e compagni superano gli uomini dell’ottimo mister Sarri, ma li superano addirittura in classifica. Perdonate l’espressione poco giornalistica ma molto emozionale: che goduria!

Momento speciale, quello di Sabato sera, programmato da ben quattordici giornate. Così, alla 15esima, ecco manifestarsi il sogno, ormai realtà. Primo posto. Graduatoria sovverita. Vertice rivoltato a mo’ di “colpo di stato”. Bisogna, ad onor del vero, sottolineare ancora una volta l’eleganza della tifoseria bianconera – nonché della dirigenza, ma questo non risulta affatto nuovo – di fronte alle provocazioni del pre e post-partita. Ma qui si parla di calcio. Fuochi d’artificio, a Vinovo, non se ne sparano per festeggiare la disfatta dell’avversario.

Un discorso di cultura sportiva. Perché anche nelle circostanze in cui l’avversario attacca, deride e – come accaduto dopo la finale di Champions col Barcellona – spesso offende, la differenza abissale risiede nella risposta. Indifferenza alle cattiverie, alle critiche tutt’altro che costruttive, ai pourparler. Insomma, qui trionfa lo stile-Juve oltre alla squadra che scende ogni domenica in campo.

I veri campioni vanno osservati anche fuori dal rettangolo verde. Nelle dichiarazioni pronte a gettare benzina sul fuoco; nella volontà di non dar peso alle accuse della gente; nel bisogno di concentrazione ai fini d’un match da vincere assolutamente, perché vale mezza stagione. E pazienza se qualcuno ci ha chiamato “cani”. Sarebbe più corretta la definizione “zebre”, ma non si prenda affatto questa dichiarazione come offensiva, anzi; gli “amici a quattro zampe” incarnano oggi dei compagni fidati, simbolo dell’affetto illimitato verso l’uomo; e poi la colpa non è certo loro se i presunti “leoni” fatichino dominare nella foresta della serie A.

Paolo Panico

 

Impostazioni privacy